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Di colore, color carne e altri bias – intervista a Giuditta Rossi

Di colore, color carne e altri bias Ci sono espressioni chiare, altre equivocabili o, se non altro, che danno libera interpretazione. Una di queste è di colore, la traduzione italiana per definire una persona la cui pelle non è bianca. Nell’analisi delle evidenze del report “Women in the workplace” per l’articolo su falsi miti e stereotipi (nota 1) siamo incappate in una riflessione sull’espressione women of colour che era citata più volte. Nelle note si chiariva l’espressione in lingua inglese (Women of colour include Black, Latina, Asian, Native American/American Indian/Indigenous or Alaskan Native, Native Hawaiian, Pacific Islander, Midlle Eastern, or mixed-race women), ma si trattava di un appunto che in lingua italiana fa emergere una complessità non risolta. Mentre in inglese con of colour si fa riferimento alle varie etnie (afro, indiana, etc), in italiano di colore si riferisce a un colore ben preciso. Come tradurre quindi, visto che un termine equo, univoco, condiviso e accettato non esiste? Abbiamo chiesto a Giuditta Rossi – brand strategist e co-founder, insieme a Cristina Maurelli, di Bold Stories https://boldstories.it/  e della campagna di advocacy virale Color Carne https://colorcarne.it/ – di riflettere con noi su queste tematiche. Come definiresti il termine “donna di colore” e perché lo ritieni appropriato o inappropriato? La questione è complessa, il termine presenta delle criticità ed è necessario fare una piccola panoramica sulla terminologia. “Di colore” nasce dall’inglese “person of color” per indicare in modo generico una persona non identificabile come “bianca”. Quando questa espressione è stata adottata nella lingua italiana, il significato si è ristretto per indicare solo le persone nere. La terminologia è carente dal punto di vista della rappresentazione, anche nella versione inglese, perché “di colore” nasce dagli stessi bias evidenziati con Bold Stories nella campagna Color Carne, in cui era evidente che, inconsciamente, si stesse definendo uno standard. Perché in fondo, “di colore” rispetto a chi? Quello dell’intersezione tra colore della pelle, etnia, nazionalità e cultura è un ambito a cui servono parole nuove. Non è facile individuarle perché è un tema non risolto, anche a livello internazionale. Qual è la tua opinione sull’uso della parola nera o nero per indicare le persone di origine africana o afrodiscendenti? Appartengo a quella parte di professionalità e studio che ritiene che “nera” sia al momento preferibile all’espressione “di colore”, proprio per i motivi sopra citati. Anche questa parola presenta alcune criticità – come bianca del resto – perché non ci sono persone veramente bianche o nere. L’umanità è un mix di colori, ha mille sfumature. È una semplificazione quindi, ma finché non avremo di meglio è quella che ho scelto per definire me stessa. Ma cosa succede a chi non è una persona considerata bianca o nera? Che parole utilizziamo? Al momento si tende a usare la nazionalità, la provenienza geografica, il luogo in cui sono nati i propri antenati, ma non è risolutivo, racconta solo una parte della realtà. In questo senso un bias che si riscontra spesso in Italia è pensare che una persona nera sia necessariamente di un’altra nazionalità, come se in Italia ci fossero solo persone bianche. Cosa pensi dell’uso della n word (https://www.treccani.it/vocabolario/neo-n-word_%28Neologismi%29/ ), sia nella sua forma dispregiativa che in quella riappropriata, da parte di alcune persone nere attiviste o nel campo dell’arte? Penso che non ci sia molto da dire: la n word è una parola fortemente discriminatoria, da non utilizzare in nessun contesto. Detto questo, se alcune persone discriminate scelgono di rivendicarla per loro stesse per cambiarne la narrazione, come accaduto anche con altre parole tipicamente identificate come slur – insulti o diffamanti – penso sia un loro diritto. Certamente questo non vale per chi non è oggetto di quella discriminazione. Quali sono le principali sfide e opportunità che le donne nere devono affrontare nel contesto italiano e globale? Tra i temi principali che colpiscono le persone nere, così come in generale tutte le persone discriminate, ci sono quelli della rappresentazione e dell’accesso. Sono dinamiche che hanno a che vedere con il potere, chi lo detiene e come si sceglie di usarlo. E poi c’è nello specifico la questione delle donne, in quanto oggetto di una discriminazione di genere. Quello che vorrei vedere è una maggiore intersezionalità. È molto diverso essere una donna cisgender rispetto a essere una donna cisgender nera, così come lo è essere una donna cisgender nera con disabilità o una donna transgender nera. Le intersezioni sono tantissime e non dovremmo dimenticarcene. Per questo ritengo che le attività di Diversità, Equità e Inclusione (DE&I), che sempre più si svolgono all’interno delle organizzazioni, giochino un ruolo importante nel lavorare attivamente per promuovere il cambiamento. Quali sono le fonti di ispirazione e i modelli di riferimento che le donne nere possono trovare nella letteratura, nell’arte, nella musica e nel cinema? In Bold Stories diciamo che “Chi non è rappresentat* non esiste”. Chi non rientra nelle narrazioni di cui facciamo esperienza ogni giorno tende ad essere meno visibile nella mente delle persone. Mettere nel mondo storie autentiche e coraggiose è un modo per far sentire le persone viste e riconosciute per chi sono davvero. In questo senso, il contributo delle donne nere è enorme in tutti i settori: autrici, registe, attrici, produttrici, performer, artiste… Ogni giorno sfidano lo standard e rendono gli spazi sempre più ampi, non solo per loro stesse e le proprie comunità di riferimento, ma per tutte quelle persone che nelle storie non si vedono mai. Queste donne sono troppe per essere menzionate, quello che posso fare è citare alcune tra le mie narrazioni preferite che, in momenti e per motivi diversi, mi hanno fatta sentire vista: Il libro: Salvare le ossa di Jesmyn Ward. La serie tv: Harlem di Tracy Oliver. La canzone: Brown skin girl di Beyoncé. Arte: le illustrazioni di Laci Jordan. Come si può promuovere una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione sulle questioni di genere e razza tra le donne e nella società in generale? C’è una cosa importante che abbiamo voluto comunicare con la campagna Color Carne e più di recente

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4 FALSI MITI: STEREOTIPI SU DONNA E CARRIERA

È stata pubblicata l’edizione 2023 del report “Women in the Workplace”, ideato da LeanIn.Org e McKinsey & Company. È lo studio più ampio sulla situazione femminile nelle corporate in America, un campione che in 9 anni ha coinvolto 900 organizzazioni e oltre 23 milioni di persone. Quali sono le principali evidenze? Esistono riflessioni applicabili anche alla realtà italiana? Lo abbiamo chiesto a Kiasi Sandrine Mputu, Millennial italiana e expat, che attualmente vive e lavora in Inghilterra come Assistant Manager, Radio Host ed Entrepreneur. La presenza femminile nei ruoli dell’organizzazione: alcuni dati Ancora poche donne!  Pur in presenza di un continuo miglioramento anno dopo anno, le donne sono ancora poche in tutti i ruoli della gerarchia lavorativa e se guardiamo alle donne appartenenti ad una minoranza etnica sono ulteriormente sottorappresentate (nel report è specificato come “women of colour”, definizione che include “Black, Latina, Asian, Native American / American Indian / Indigenous o Alaskan Native, Native Hawaiian, Pacific Islander, Middle Eastern, o di razza mista”). Dalla prima rilevazione del 2015 i numeri sono cresciuti di qualche punto percentuale ovunque, dalle prime assunzioni alle posizioni di middle management, fino alla C-suite. Lo stacco è avvenuto maggiormente proprio nelle posizioni apicali con 11 punti percentuali, dal 17% al 28%, ma nonostante questa spinta siamo ancora lontani dall’equilibrio di genere. Sulla C-suite oggi troviamo 1 donna ogni 4 uomini e ancora meno 1 “donna non caucasica” ogni 16 uomini.  Una quota femminile limitata si traduce in poche “Inspiring Women”, che possano influenzare positivamente le altre donne, coloro che sono desiderose di una crescita lavorativa, e le giovani generazioni. Vi sono pochi modelli di riferimento, mentre è fondamentale avere esempi di persone in cui identificarsi, percepire la possibilità del loro percorso di carriera per poterlo ripercorrere, riportando una citazione nel report di una Direttrice (e donna nera) “People need to see leaders who look like themselves to understand that it’s possible for them”. “L’assenza di role model” conferma Sandrine “é un dato di fatto. La situazione attuale sembrerebbe dirigersi verso un lieve miglioramento, tuttavia vi è ancora una lunga strada da percorrere per arrivare ad una rappresentazione reale, a tutti gli effetti ein ogni settore. Oggi il tema della rappresentazione in Italia risulta ancora carente in tanti contesti, dalla comunicazione, alla politica ma anche nei media, nel settore educativo e via dicendo,  ambiti in cui le donne italiane nere esistono più che in passato ma in cui risultano ancora poco in vista e riconosciute proprio in mancanza di pratiche di inclusione e dati che aiutino a colmare i gap presenti sul territorio: i numeri sono importantissimi, perché fotografano la società in cui si vive, i talenti a disposizione,  le opportunità da cogliere e quelle mancate.” Quattro falsi miti su donna e carriera Sfatiamo quattro falsi miti sull’approccio che le donne hanno verso il lavoro e la carriera. Mito #1: Le donne sono meno ambiziose. ⁠ Evidenza: La ricerca ha riscontrato che le donne sono più ambiziose del periodo pre-pandemia e la flessibilità lavorativa alimenta questa propensione: 8 donne su 10 ambiscono ad una crescita lavorativa rispetto a 7 su 10 del 2019 con maggiore intensità in ragazzi e ragazze under 30, dove 9 su 10 aspirano ad una promozione.  Il lavoro da remoto e ibrido pone condizioni più favorevoli per le donne per poter conciliare i diversi ruoli, consentendo oggi di aspirare ad una crescita professionale, laddove in passato il lavoro esclusivamente in sede costringeva spesso a scelte drastiche di riduzione orario di lavoro o di spostamento su mansioni a minore responsabilità. L’aspirazione di crescita è molto forte anche nelle “women of colour” che per il 96% vivono la carriera come elemento molto importante della loro vita, ambendo per l’88% ad una crescita. Su questi due aspetti, Sandrine ci ha condiviso come il lavoro sia associabile all’indipendenza, all’emancipazione sociale e alla possibilità di libertà e scelta che esprimono congiuntamente la rilevanza dei dati. Mito #2. Il più grande ostacolo all’avanzamento delle donne è il “soffitto di cristallo”. Evidenza: Mentre generalmente si pensa che l’ostacolo maggiore sia nel raggiungimento di posizioni di vertice e leadership, in realtà è maggiormente frequente incappare nel “gradino rotto”, ossia una prima barriera che le donne devono affrontano nel diventare manager. La criticità sta infatti sul passaggio da entry level a manager, con un gap del 20% tra uomini e donne. Ogni 100 uomini promossi, le donne sono 87, e si scende a 54 se si tratta di “Black women” (con notevoli passi indietro rispetto agli 82 del 2020 o ai 96 del 2021).  L’interpretazione di Sandrine su questa retrocessione è legata ad una accentuata attenzione sui fenomeni razziali nella fase successiva alla morte di George Floyd da cui è conseguita un’attenzione mediatica e social mediatica intorno ai diversi movimenti (in particolare Black Lives Matter), conversazioni ed iniziative relative alle tematiche legate alla razza, uguaglianza, diversitá ed inclusione, i quali hanno quindi favorito nell’immediato maggiori opportunità lavorative alle “women of colour”, ma più come un effetto temporaneo e circoscritto che come una modifica strutturale al sistema:il fenomeno del “tokenismo”, cioè “la pratica di fare qualcosa (come assumere una persona che appartiene a un gruppo minoritario) solo per evitare critiche e dare l’impressione che le persone siano trattate in modo equo” dalla definizione di Merriam Webster. Il report, inoltre, evidenzia come il “Performance Bias” incida negativamente sia nell’assunzione che nello sviluppo di carriera: mentre le donne vengono assunte o promosse in base ai precedenti traguardi, gli uomini vengono valutati sulle loro potenzialità future. Un punto di vista profondamente divergente su cui riflettere ed intervenire per porre entrambi sullo stesso piano, facendo in modo che il bias non penalizzi la crescita dell’intero cluster femminile. Mito #3. Le micro-aggressioni hanno un impatto minimo. Evidenza: Le micro-aggressioni hanno effetti significativi e duraturi sulle donne. Il report analizza le diverse casistiche di micro-aggressioni (definizione entro cui potemmo accorpare comportamenti dettati da pregiudizi) mettendone in luce le conseguenze, come stati di burn out o desideri di cambiare azienda, effetti molto rilevanti, che si contrappongono all’appellativo “micro” che farebbe

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Eterne Signorine? Recitare gli stereotipi di genere

C’è un tema che mi sta a cuore da anni, la parità di genere. Venerdì 22 settembre, presso l’azienda CRM Partners, si è tenuto il mio primo speech, a titolo personale, sull’Empowerment femminile. Sono stata invitata a condividere la mia testimonianza insieme a Fabiana Musicco, una donna di grande spessore professionale ed umano, che ha avuto il coraggio, circa venti anni fa, di lasciare, da dirigente, una azienda per affrontare una sfida culturale e sociale immensa: lanciare una onlus. Insieme abbiamo preparato l’incontro, ci siamo confrontate, ci siamo guardate dentro, abbiamo ricostruito i nostri percorsi e poi ci siamo riconosciute nelle parole di Michela Murgia, raccolte dentro un suo prezioso libro: “Stai zitta”.  Ci siamo ispirate a lei. Quel venerdì mattina, la stanza era piena di giovani donne e uomini. Ho intravisto in alcuni sguardi la curiosità, in altri, un amletico dubbio, in altri ancora, una aprioristica sfida. L’agenda della giornata prevedeva i nostri due interventi, una fase di confronto e a seguire la creazione di gruppi per la simulazione di situazioni di discriminazione di genere. Dopo le presentazioni iniziali della Responsabile HR Costanza Fratta e del CEO dell’azienda Armando De Lucia, io e Fabiana iniziamo il nostro speech. Fabiana si presenta e si racconta con emozione e passione. Quando tocca a me, mi autodefinisco ingegnera e femminista ed inizio a parlare di numeri. Ma non per annoiare, solo per condividere il quadro della condizione femminile nel mondo ed in Italia. Tra i vari numeri, riporto che secondo l’ONU, per raggiugere la parità salariale nel mondo, ci vorranno 257 anni e che in Italia le donne CEO di società quotate sono l’8%. Quindi parliamo del tetto di cristallo (la difficoltà delle donne di raggiungere posizioni apicali) che è ancora un fenomeno strutturale, ci diciamo che probabilmente c’è ancora bisogno delle quote rose per sfondarlo, soprattutto perché il rischio è che le donne rinuncino alla sfida già in partenza. Dopo la dimensione dei numeri, esploriamo con Fabiana l’insidioso mondo delle parole.Nanni Moretti in Palombella rossadice che “Le parole sono importanti” ed anche noi ci domandiamo come mai ancora oggi su tante professioni si predilige il maschile, come se fosse considerato più prestigioso. Noi la pensiamo come Murgia, dichiariamo cioè che se proprio noi donne preferiamo non usare la forma corretta, come avvocata, ingegnera, architetta, siamo noi stesse a non darci prestigio. È così che continuiamo a perpetrare la discriminazione con l’imposizione del maschile universale. Murgia sostiene che è come se stessimo occupando abusivamente il posto di un uomo. Siamo abituate ad ascoltare appellativi come AstroSamantha o Astromamma per donne che hanno un ruolo professionale di rilievo, ma non capita mai di sentir chiamare un astronauta uomo con l’appellativo di Astropapà. Tutto ciò ci sembra normale. Ma non lo è. Dopo il complesso mondo delle parole, io e Fabiana affrontiamo il tragico mondo offeso del corpo femminile. Parliamo della cultura patriarcale e dei danni macroscopici che ha inferto nelle menti delle persone, donne e uomini indistintamente. Raccontiamo che siamo stati sottoposti per anni a un bombardamento mediatico di immagini svilenti in cui il corpo femminile veniva oggettivizzato e ridotto quasi sempre ad una sola parte erotica. Abbiamo ipotizzato che una reificazione della donna così diffusa, possa purtroppo, anche solo inconsciamente, produrre situazioni imbarazzanti per le donne anche nel mondo del lavoro. Il rischio, abbiamo detto, è che diventi legittimo non riconoscere l’autorevolezza alle donne, perpetrando la brutta abitudine di organizzare solo i manel, ossia gli all male panel, congressi in cui vengono invitati a parlare solo gli uomini, poiché ritenuti più autorevoli. Si è così abituati a dare visibilità agli uomini che si fa fatica a riconoscere il valore delle donne, il loro peso specifico, e sicuramente averle ignorate, ridicolizzate e ridimensionate al ruolo di principianti, non ha aiutato la causa. Fabiana ha raccontato un episodio in cui nonostante lei fosse una dirigente, i capi erano soliti appellarla con il nomignolo di “ragazza”. Queste situazioni purtroppo tendono a sminuire la donna, a rimpicciolirla. Abbiamo riflettuto sul fatto che per le donne è quasi impossibile farsi chiamare con il cognome e con il titolo professionale: noi siamo le eterne “signorine”, infatti al bar, di solito solo il nostro collega maschio viene chiamato con l’appellativo di “Ingegnere”.  Noi restiamo solo delle “signorine” anche se siamo Ingegnere. Secondo noi, abbiamo continuato, raggiungere il potere in poche non serve a nulla, serve farlo insieme, ci vuole una massa critica minima e delle sorelle capaci di dedicarsi ad altre sorelle, costruendo percorsi di emancipazione in grado di far superare a tutte gli ostacoli sessisti. Infatti, secondo noi la leggenda che le donne siano rivali è solo una strategia del patriarcato, che ci vuole divise. Noi non siamo rivali, ma crederlo e dircelo rafforza il pensiero unico maschile e ci indebolisce dividendoci, come sostiene Murgia. Insieme facciamo paura e se poi in quell’insieme hanno il coraggio di entrare anche gli uomini, faremo paura ancora di più. Secondo noi, infatti, l’alleanza con gli uomini è fondamentale, perché la difesa di una donna dagli attacchi sessisti può farla una donna, ma anche un uomo. La cultura di parità che vorremmo diffondere, secondo noi, deve partire dalle bambine, abbiamo detto, perché l’immagine della donna che aspetta il principe azzurro vorremmo scardinarla una volta per tutte, perché, secondo noi, alle bambine va insegnato il valore dell’indipendenza, l’importanza del proprio corpo e la potenza delle parole. Le bambine non devono vivere più di eterna approvazione maschile o diventare donne in un universo di penelopismo esasperato, ma devono fare un percorso di consapevolezza, un viaggio verso un futuro in cui saranno davvero libere di scegliere. Alle fine dello speech alcuni uomini si sono riconosciuti nei nostri pensieri, affermando anche con coraggio che quella cultura patriarcale danneggia anche loro, poiché li imprigiona in un modello rigido e claustrofobico. Altri uomini, invece, anche se erano d’accordo su tutto, hanno sollevato dei dubbi su alcune parole (ingegnera, architetta sono parole che non esistono e sono cacofoniche!), sulle quote rosa (dobbiamo avere persone competenti, non dobbiamo selezionare

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Intervista NoiD Telecom al Social Women Talk! 2023: “Comunicazione Phygital per fare cultura sul gender gap fuori e dentro il web”

Noemi Giammusso: Ci racconti per chi non vi conoscesse cos’è e come nasce NoiD Telecom? Quali sono gli strumenti che avete messo in campo per promuovere i vostri obiettivi e fare rete?  Roberta Perfetti: NoiD Telecom è una Associazione nata oltre 10 anni fa dall’iniziativa di alcune donne manager del Gruppo TIM, all’epoca “Telecom Italia” di cui abbiamo conservato il nome, per promuovere la parità di genere e favorire un cambiamento culturale sia all’interno del Gruppo, sia nel contesto in cui opera.  I nostri obiettivi principali sono:   Le azioni/attività che mettiamo in campo per raggiungerli sono:   Lo scorso anno siamo intervenute in questo stesso evento per raccontare il lavoro di allargamento della community sui social che stavamo facendo, un lavoro che continuiamo a portare avanti e che ci particolare soddisfazione: oggi abbiamo circa 3mila followers tra tutti gli account social attivi. E direi che per una piccola associazione di settore è una gran bel numero. Un risultato che arriva grazie anche al riconosciuto apprezzamento per il nostro lavoro da buona parte del management di TIM.  Siamo cresciute quindi, sia sui social sia in generale, oggi siamo 350-400 tra socie e simpatizzanti. E come succede spesso quando si cresce, ci si domanda cosa si può fare di più e meglio. Tra le novità c’è l’apertura dell’Associazione agli uomini e a tutte le persone esterne al Gruppo TIM, decisione presa convinte del valore dell’inclusione e dell’equilibrio.    Il Networking è l’attività meno digital ma molto importante e su cui stiamo puntando molto (Tiziana vi racconterà meglio quali sono le novità) e per noi significa sia networking interno tra le associate per le quali organizziamo eventi, sia networking esterno con altre Aziende o Associazioni che condividono i nostri obiettivi. Partecipiamo ad eventi, come questo, tavole rotonde, panel e prendiamo parte a gruppi di lavoro su progetti specifici. Abbiamo ad esempio partecipato, con Inclusione Donna, alla stesura della PdR/125, la norma per la certificazione sulla parità di genere. Attività concrete quindi perché la concretezza è un aspetto che caratterizza la nostra Associazione.  Noemi Giammusso: Comunicazione Phygital per fare cultura sul gender gap fuori e dentro il web. La mia domanda è: Ti andrebbe di raccontarci come vi state prendendo cura della vostra community in modalità phygital? Avete individuato delle leve?   Tiziana Omaggi: In NoiD la comunicazione non è solo digitale per fare rete ma vuole mettere le persone al centro!   La nostra comunicazione phygital pone infatti al centro la community tramite un piano di azioni che stiamo mettendo a terra per offrire alle persone un programma concreto di networking ed empowerment:  Come lo facciamo?  Mettiamo a disposizione le nostre competenze di professioniste della comunicazione che lavorano quotidianamente con la tecnologia, pronte a sperimentare nuovi strumenti digitali, realizzare format innovativi, attivare nuovi canali, con il duplice obiettivo di fare crescere l’awereness di NoiD fuori e dentro il Web.  Cosa stiamo facendo?  Tra le azioni in campo nel 2023 abbiamo attivato il “Networking Tour”, con le prime tappe sulle città di Torino, Milano e Napoli. Per noi è stato un passaggio fondamentale, arrivare alle persone e al territorio, per trovarsi e ritrovarsi insieme nel portare e condividere obiettivi e valori dell’associazione. Il nostro obiettivo è stato quello di avviare i team territoriali per un modello associativo ampio e diffuso, non direzionale e non centrico. Gli incontri sono stati caratterizzati dalla forte energia, empatia ed impegno, e hanno contribuito a raccogliere esigenze e stimoli diversi.  L’attenzione per il valore delle connessioni, e il feedback raccolto sul territorio, ci ha portato a realizzare per la prima volta l’evento estivo in contemporanea in 4 città, Milano, Napoli, Roma e Torino, connettendoci contemporaneamente dalle diverse location durante il discorso della nostra Presidente.  Come prossimi passi punteremo sull’empowerment della nostra community, attraverso un palinsesto di appuntamenti periodici, con l’obiettivo di favorire l’engagement, abbattere le distanze dal territorio e soprattutto avvicinare e farci conoscere.  Il primo format a partire sarà il NoiD Coffee Time, uno short meeting flessibile, sia in termini di orario che di contenuto, che sarà fruibile online (al momento in piattaforma teams), preferibilmente ad inizio mattinata, tutto in meno di mezz’ora.  Il NoiD Coffee Time sarà un incontro di networking ma soprattutto uno strumento di empowerment, dove offriremo alla nostra community 30 minuti aperti con interviste a role model di riferimento, workshop, pillole formative di strumenti digitali, testimonianze/interview di stakeholder esterne.  Ogni appuntamento sarà promosso sui nostri canali digitali, e le interessate potranno iscriversi attraverso un form di adesione disponibile sul nostro sito, a cui seguirà una mail di conferma con tutti i dettagli dell’appuntamento.  Quale migliore occasione quindi per lanciare qui una Call To Action “ Prendi parte al Coffe Time di NoiD, condividi la tua voce ed il tuo progetto con la nostra community!”   Noemi Giammusso: Non solo comunicazione quindi ma anche tecnologia. A questo proposito come si sposa secondo voi il nesso tra donne e tecnologie e come lo promuovete all’interno dell’organizzazione?  Jessica Sabellico: Le donne sono sottorappresentate in molti settori tecnologici, compresi quelli legati a STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Questa disparità si riflette nei tassi di occupazione, nelle posizioni di leadership e negli stipendi.   NoiD è fortemente attenta al binomio donna e tecnologie, e al divario in ottica gender gap che ne deriva, anche perché è proprio nel contesto ICT e TLC in cui lavoriamo, che vediamo in realtà quanto l’ambiente tecnologico sia prettamente a prevalenza maschile e quante donne competenti ci sono invece su progetti tecnologici interessanti ma che spesso non ricevono il riconoscimento che meritano come ad esempio avanzamenti di carriera e posizioni apicali.   Partendo dall’ambito STEM, sulla base degli ultimi report a disposizione, è ancora ridotta la presenza di ragazze all’interno dei corsi di laurea, anche se in aumento rispetto all’ultima rilevazione. Se infatti nell’anno accademico 2020/2021 le ragazze immatricolate in area STEM erano il 39,4% (dati Censis), i nuovi dati raccolti da Almalaurea raccontano una lieve crescita. L’Indagine sul Profilo dei laureati STEM rivela infatti che pur essendo più elevata la componente maschile, che raggiunge il 59,1%, quella femminile è salita negli ultimi anni al 40,9.   La

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Di maternità, child penalty e altre riflessioni

Di cosa parliamo quando parliamo di maternità. Di fatto “Il periodo della vita della donna madre dall’inizio della gestazione fino all’allevamento del neonato” (cit. Treccani). Con questo termine si indica anche il periodo di tempo in cui la madre lavoratrice dipendente si astiene dal lavoro obbligatoriamente per 5 mesi – una tempistica che non segue la precedente definizione e che cambia da paese a paese- da fino a due mesi precedenti la data presunta del parto e fino a 5 mesi dopo la stessa. La variabilità dell’inizio e fine maternità obbligatoria dipende – tra le altre cose- dalla volontà della madre lavoratrice dipendente, dal suo stato di salute, dalla peculiarità dell’attività e dagli strumenti che il datore di lavoro può mettere in campo per agevolarla, come lo smart working, in alcuni casi. Per il periodo di 5 mesi di maternità obbligatoria retribuita al 100% ad oggi si può scegliere la formula 2+3, 1+4 oppure 0+5. Da qui in poi scatta il congedo non obbligatorio, di cui un mese retribuito all’80% – secondo la Legge di Bilancio 2023- e il resto al 30%. [Questo articolo non si pone l’obiettivo di essere una guida esaustiva al congedo di maternità, per questo scopo si rimanda il lettore al sito Inps.] Cosa succede prima della battuta d’arresto dei cinque mesi obbligatori di congedo nell’ambito lavorativo della donna? E cosa avviene durante la sua assenza? E poi ancora, al suo rientro, cosa troverà? Come potrà coniugare vita professionale (magari con anche l’aspirazione di crescere) ai primi mesi di vita del bebè? Queste risposte, tutt’altro che prevedibili, avranno un impatto decisivo sulla sua carriera e la sua vita personale. Squilibrio di genere nel mondo del lavoro, Gender Pay Gap e Child Penalty Sfogliando il Rapporto Inapp sono davvero preoccupanti i dati che testimoniano lo squilibrio di genere nel mondo del lavoro: quasi una donna su cinque lascia il lavoro con l’arrivo del primo figlio e la motivazione più comune è proprio la difficoltà a conciliare vita privata/lavoro. Prima della mia gravidanza non conoscevo molte altre neomamme millennial, anzi direi che le mie conoscenti coetanee e mamme si contavano appena. Non è infatti un segreto che di figli non se ne fanno quasi più. In ogni caso, rispetto al mio contesto, prima della mia gravidanza avevo a che fare quasi solo con donne in attività lavorativa. Adesso invece che frequento contesti dove mi è più facile conoscere altre mamme -un network di sorellanza pazzesco- scopro che molte di loro decidono di lasciare il lavoro dopo il primo figlio o di accontentarsi di un impiego modesto mentre il partner cresce professionalmente o almeno si ritiene soddisfatto della sua sfera professionale. Alcune mi dicono che per riprendere a lavorare devono assumere una baby-sitter ma che costa troppo, o che gli asili sono di difficile accesso. Che non ce la si fa coi costi e che tanto vale rinunciare a uno dei due stipendi in casa, poiché uno dei due si riduce a pagare le sole spese, finendo comunque per perdersi dei momenti con i figli che non torneranno. E così alcune di noi rinunciano alla propria carriera, quindi allo stipendio. Quindi alla propria indipendenza. Questa si chiama #ChildPenalty. Mamma o lavoratrice? Da dilemma a binomio necessario Gioia a parte, la gravidanza è un’esperienza forte, il parto non ne discutiamo proprio e il resto poi è tutto in salita. Incluso le scelte di vita che ne conseguono. E dire che per chi la desidera, la maternità è uno dei momenti più pieni e felici della vita. Peccato debba coesistere questo contrasto in cui, a volte, sia necessario scegliere se fare la mamma o la lavoratrice. O, in alcuni casi, a rinunciare a scalare la vetta di quel famoso soffitto di cristallo. La maternità viene dunque vissuta come una fragilità in un contesto sociale in crisi. Diviene fondamentale che tutte le aziende – attori sociali del cambiamento e comunità inclusive – si attivino per contrastare il Gender Gap che si rivela nella maternità. Un passo significativo potrebbe essere la firma del Codice di autodisciplina, che viene proposto liberamente a tutte le imprese per sostenere la maternità, con lo scopo di arrestare la decrescita e incentivare la natalità, favorire la continuità di carriera delle madri, sostenere economicamente le iniziative di cura e educazione dei figli. Anche confrontarsi con le linee guida della Certificazione per la Parità di genere UNI/Pdr 125:2022, è un’occasione per scoprire se la propria azienda sia compliant con i requisiti richiesti per ottenerla e dunque attivarsi in tal senso. Ma non basta. Per quanto si possa generalizzare omologando procedure e regole nel tentativo di regolamentare i bisogni di gestanti e neomamme, e bilanciare la genitorialità, ogni esperienza è a sé ed effettivamente questo è l’unico assunto certo per tutte. Il primo mese e mezzo basta a mala pena a riprendersi dal parto, capire se e come avviare l’allattamento e gestire il bebè. Dai due mesi inizi a mettere piede fuori casa, a rimescolarti col mondo esterno e con gli altri. Siamo arrivati a tre mesi. Epoca dei primi vaccini. Ricominci a sentire il tuo corpo più sgonfio, a sentirti più serena. Il rapporto con il bebè si intensifica, la sua energia aumenta e il nuovo assetto familiare va pian piano saldandosi. Arrivano lo svezzamento, la dentizione eccetera. Come si può pensare che tre o cinque mesi possano bastare per affrontare questa montagna di cambiamenti, rimettersi in sesto, sistemare i nuovi equilibri e tornare al lavoro a pieno regime, millantando una carica energetica che neanche venti giorni di ferie restituiscono? Ci dicono che l’epoca delle eroine è finita. Eppure, le sento già alcune donne dire “e io come ho fatto ai miei tempi?!”. Beh credo che il modello del sacrificio non sia la soluzione. Certo, forse era ed è tutt’ora l’unico modo per avanzare professionalmente. Una donna dovrebbe avere il diritto di fermarsi per il tempo che lei ritiene necessario al fine di avviare il bebè nel mondo nei suoi primi anni di vita, come avviene in altri stati

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I nostri consigli di lettura per l’estate

Cosa ci fanno insieme un primatologo, una storica, un giornalista, un’imprenditrice e due scrittrici doc di generazioni completamente diverse? Sono gli autori di una selezione di libri che vogliamo suggerirvi per le vostre vacanze. Eccoli in rigoroso ordine alfabetico perché a noi sono piaciuti tutti: Eva Cantarella: “Gli inganni di Pandora. L’origine delle discriminazioni di genere nell’antica Grecia”, ed. Feltrinelli. L’autrice racconta di una vicenda lunghissima, che dal mito giunge ai medici e ai filosofi che hanno fondato il pensiero occidentale. Siamo abituati a pensare ai greci come alla culla della nostra civiltà: a loro dobbiamo l’idea di democrazia, la storiografia, la filosofia, la scienza e il teatro. Di questa magnifica eredità però fa parte anche un bel fardello: il modo in cui consideriamo il rapporto tra i generi, quello che oggi definiremo bias di genere. Frans De Waal: “Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo”, ed. Raffaello Cortina. Dall’osservazione del comportamento di esseri umani e degli altri animali, il primatologo di fama mondiale mette in dubbio le convinzioni ampiamente diffuse su mascolinità e femminilità e le opinioni comuni su autorità, leadership, legami filiali e comportamenti sessuali. Con umorismo, chiarezza e sensibilità, il libro amplia la discussione sulle dinamiche di genere nelle società umane, promuovendo un modello inclusivo capace di abbracciare le differenze, invece di negarle. Pietro Greco: “Trotula. La prima donna medico d’Europa”, ed. L’asino d’oro. Trotula de Ruggiero è la prima donna medico d’Europa. La prima ad aver coltivato nell’XI secolo una ‘medicina per le donne’: la ginecologia. Ha curato le malattie, ma si è anche occupata di bellezza e benessere delle donne. A lungo osannata e poi disconosciuta, la sua esistenza persino negata. Qualcuno ha detto che mai e poi mai una donna avrebbe potuto fare nel Medioevo le cose che ha fatto lei. Una lettura che fa ricredere sul ruolo della donna nel periodo considerato tra i più bui della nostra storia. Michela Murgia: “God save the Queer. Catechismo femminista”, ed. Einaudi. Come fai a tenere insieme la tua fede cattolica e il tuo femminismo? È una domanda che Michela Murgia si sente rivolgere di continuo. Può esserci un compromesso tra la propria coscienza e i precetti in merito all’aborto, all’eutanasia, alla fecondazione assistita? Partendo dalla rilettura del Credo e attingendo alla propria esperienza personale Michela Murgia fornisce gli strumenti per affrontare alcune di queste contraddizioni e mostra come la pratica della soglia che rigetta l’appartenenza a un unico recinto, cioè la queerness, sia una pratica cristologica. Goliarda Sapienza: “L’arte della gioia”, ed. Einaudi. Si tratta di un libro postumo rifiutato dai principali editori italiani e che, stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998,  riceve il giusto riconoscimento solo dopo la sua uscita all’estero. Modesta, una donna vitale, scomoda e immorale, secondo la morale comune, è la protagonista del libro. Una siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto, che attraversa bufere storiche e tempeste sentimentali protetta da un infallibile talismano interiore: «l’arte della gioia». Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale. Riccarda Zezza: “Cuore (core) business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro”, ed. Il Sole 24Ore. Possiamo riumanizzare il lavoro e trovare motivi per rimetterci il cuore, riscoprendo la passione, amplificando il nostro benessere spirituale e fisico? Riccarda Zezza, prova a rispondere in questo libro, un manifesto per ridefinire i posti di lavoro e le carriere e allinearli alle aspettative moderne. È un libro tempestivo, che tocca tematiche urgenti in un mondo del lavoro sempre più permeato dalla tecnologia e dall’influenza diffusa dell’intelligenza artificiale. Se ne leggerete almeno uno fateci sapere cosa ne pensate, qui o sui nostri canali social. Vi aspettiamo a settembre, carich* e motivat* per proseguire insieme nel nostro cammino verso il superamento del gender gap. Il team Comunicazione NoiD Telecom

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GENDER GAP: FOCUS SU AZIONI, STRUMENTI E PROSPETTIVE 

PARITÀ DI GENERE, A CHE PUNTO SIAMO Per “Gender Gap” (divario di genere) si intende la disparità tra uomini e donne, in favore dei primi, in termini di accesso alle opportunità e ai diritti, che può manifestarsi in diverse forme, come la differenza di retribuzione, l’accesso limitato all’istruzione e all’occupazione e la scarsa rappresentanza delle donne in posizioni di leadership.  Secondo il Global Gender Gap Report 2022 curato dal World Economic Forum, l’Italia si posiziona al 63° posto a livello mondiale su un totale di 146 Paesi, in base a un punteggio che rappresenta la percentuale del divario di genere che è stata colmata, pari al 72%.   Il Gender Pay Gap, o divario retributivo di genere, è invece la differenza nella retribuzione oraria lorda media tra donne e uomini, una differenza che è quasi sempre a sfavore delle prime. Anche il Gender Pay Gap è un tema complesso ed è determinato da diversi fattori, a partire da cultura e mentalità: per esempio, le aspettative di genere hanno portato a considerare come “femminili” lavori che tendono ad offrire una retribuzione inferiore rispetto ad altri ritenuti più tipicamente “maschili”. Discriminazioni di genere ricorrono anche nei processi di assunzione e nell’iter di carriera, con scarsa presenza femminile nei ruoli dirigenziali e compensi minori per ricoprire gli stessi ruoli dei colleghi di sesso maschile.  In Italia, secondo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, il salario medio mensile di una laureata magistrale a 5 anni dalla laurea è inferiore di 293 euro rispetto a quello di un laureato di sesso maschile, con una differenza pari al 21% del salario femminile. Sono, inoltre, principalmente le donne ad avere in carico le esigenze di assistenza familiare, che spesso si sforzano di conciliare accettando lavori part-time: sommando il lavoro di cura familiare al lavoro retribuito ne risulta un maggior numero di ore lavorate, rispetto agli uomini, pur guadagnando meno. Le responsabilità familiari, dalla maternità alla cura dei genitori anziani, comportano anche discontinuità nella carriera per le donne, che rischiano di perdere opportunità di crescita nei periodi di lontananza dal lavoro.   Il raggiungimento di una parità di genere, quindi, non può prescindere dal riconoscimento e dalla valorizzazione del lavoro di cura e del lavoro domestico non retribuiti.  In Europa, secondo le rilevazioni Eurostat, il Gender Pay Gap medio si aggira intorno al 13% – ovvero le donne guadagnano in media il 13% in meno all’ora rispetto agli uomini – ma ci sono notevoli differenze tra i Paesi dell’UE. In Italia, il Gender Pay Gap nel 2021 era pari a circa il 5%, un dato in apparenza positivo. Ma, paradossalmente, rispetto al tasso medio di occupazione OCSE per la forza lavoro femminile, che si avvicina al 70%, l’Italia è sotto di quasi 20 punti: una donna su due non lavora e non è in cerca di lavoro.   La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione: il numero di donne che hanno smesso di lavorare a causa del Covid-19 è stato più del doppio degli uomini.  QUALI SONO LE AZIONI E LE SOLUZIONI PER SUPERARE IL DIVARIO DI GENERE? Agire sul cambiamento culturale è un primo passo fondamentale per superare il divario di genere. Ciò significa sensibilizzare la società sul fatto che le donne possono fare gli stessi lavori degli uomini, che possono avere la stessa formazione e le stesse opportunità di carriera. Occorre quindi modificare un approccio culturale consolidato in cui si stratificano pregiudizi e stereotipi di genere.  Un tema prioritario sul quale è necessario intervenire riguarda l’incoraggiamento della formazione di abilità anche in ambito tecnico e scientifico (ovvero le materie STEM: Science, Technology, Engineering and Math).   Questo può aiutare a rompere gli stereotipi di genere e a garantire che le donne abbiano le stesse opportunità di lavoro degli uomini. Inoltre, è necessario favorire un ambiente di lavoro aperto e inclusivo.  Un altro aspetto basilare riguarda lo sviluppo di una strategia di inclusione, attraverso regolamenti incontrovertibili per le aziende e le pubbliche amministrazioni, il cui rispetto rappresenti un vantaggio per l’intera organizzazione. Per esempio, attraverso la promozione di programmi di pari opportunità, di politiche di inclusione e di azioni positive per la parità di genere.  È indispensabile, inoltre, aumentare l’uso di forme flessibili di lavoro che favoriscano il ruolo delle madri. Ciò può includere l’accesso a permessi di maternità e paternità retribuiti, l’orario di lavoro adattabile, il lavoro da casa e altre forme di flessibilità che consentano alle donne di bilanciare le responsabilità lavorative e famigliari.  Infine, è necessario potenziare  altri benefici, oltre al salario, che possano riconoscere l’importante ruolo delle donne nella società, quali: la fornitura di servizi di assistenza all’infanzia, la formazione e lo sviluppo professionale; ma anche l’accesso a programmi di assistenza sanitaria dedicati, considerando che anche in questo ambito sono presenti significative differenze legate al genere.  UNO SGUARDO AGLI STRUMENTI DISPONIBILI Quali sono i principali strumenti che possono aiutare a superare il divario di genere e garantire una maggiore parità di opportunità per le donne?  Un passaggio chiave per la promozione della parità di genere all’interno delle organizzazioni, e un fattore decisivo in termini di empowerment femminile in Italia, è rappresentato dalla legge Golfo-Mosca (legge 120/2011), che ha introdotto dal 2012 le “quote rosa” nei CDA delle grandi imprese. La soglia, fissata inizialmente al 20%, è stata poi innalzata fino al 40% per le società quotate in borsa private e al 33% per quelle pubbliche.   Un altro traguardo fondamentale è la direttiva “Women on board” che intende migliorare l’equilibrio di genere nelle posizioni decisionali delle principali società quotate dell’UE. Dopo 10 anni di negoziati, la direttiva è stata adottata dal Parlamento Europeo a novembre 2022 e prevede che, entro il 2026, il 40% dei posti in consiglio di amministrazione – senza incarichi esecutivi – e il 33% di tutti i posti di amministratore dovranno essere occupati dal sesso sottorappresentato (ad esclusione delle società con meno di 250 dipendenti). Nei prossimi due anni la normativa dovrà essere recepita dai Paesi membri.   Un nuovo, importante strumento è la Certificazione della Parità di Genere. Istituita con Legge n. 162/2021,

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La conciliazione del ruolo genitoriale e lavorativo per superare la denatalità in Italia

Viviamo una dicotomia sul tempo, in alcuni casi freneticamente accelerato dall’abitudine all’istantaneità del digitale grazie al quale otteniamo tutto subito con un clic, mentre in altri contesti le lancette dell’orologio si dilatano: i giovani faticano a trovare lavoro, a sistemarsi in una propria abitazione – in Italia si lascia la casa dei genitori a 30 anni contro i 25 di Francia e Germania, i 20 del Nord Europa – e a cascata anche i figli arrivano più tardi e di conseguenza se ne fanno anche meno. Cosa evidenziano i dati e il trend storico I dati #ISTAT presentati da @Sabrina Patri, Direttore Centrale ISTAT, fotografano un’Italia con un importante #calodemografico: un numero medio di figli per donna di 1,25 nel 2021, con un innalzamento dell’età media a 32,4 anni delle donne al primo figlio, che si ripercuote in una diminuzione di secondi e successivi.   Siamo terzultimi nella classifica del numero medio di figli, peggio di noi la Spagna con 1,19 e Malta con 1,13, mentre altri Paesi hanno valori superiori alla media europea di 1,53, come Francia a 1,74, Repubblica Ceca 1,83, Romania 1,81 e Irlanda 1,78, ma tutti sono al di sotto del valore 2,1, che rappresenta il tasso di sostituzione naturale, il punto di equilibrio per mantenere stabile la popolazione. L’Italia è il Paese delle #cullevuote con una diminuzione delle nascite che dalle 577 mila del 2008 sono passate a 393 mila nel 2022 (-184 mila nati rispetto al 2008). Il 45% delle donne tra i 18-49 anni non ha figli e di queste solo il 2% si dichiara Childfree. Dal 2007 la mortalità in Italia supera la natalità. Quanti conoscono questi dati o hanno riflettuto sulle conseguenze di questo trend? La campagna Plasmon “Adamo 2050” @Plasmon ha recentemente costruito una campagna «Adamo 2050» a forte impatto, un cortometraggio (visibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=UZntmC9lios) con cui ci ha proiettato nel 2050, all’arrivo dell’ultimo bambino nato, Adamo (centrata la scelta dello stesso nome del primo uomo), destinato a vivere circondato da adulti, a non poter giocare con suoi coetanei, a non avere una scuola. Riflessioni sulla conciliazione genitorialità-lavoro È questo ciò che vogliamo a livello di società? Non puntare sui giovani, sul loro futuro, sul futuro del nostro Paese e di tutte le nostre tradizioni? Proviamo a riflettere su quali possano essere le cause di un’Italia che invecchia, cosa porti quasi la metà delle donne a non avere figli o averne solo uno e cosa potrebbe favorire un’inversione di tendenza, agevolando i nuclei familiari ad avere più figli. Possibile che ci sia un freno legato alla difficoltà di conciliare l’impegno genitoriale con quello lavorativo? I dati ISTAT evidenziano che per le donne tra i 25 e i 49 anni, l’occupazione non è cresciuta e, per le donne con figli piccoli, è addirittura diminuita. Le donne faticano ad entrare nel mondo del lavoro e quando hanno un impiego spesso rinviano la maternità, sperando di arrivare ad una situazione lavorativa più stabile, consapevoli che la maternità comporta una discontinuità sul percorso di vita. Dopo il congedo parentale nel momento del rientro al lavoro, molte donne scelgono contratti part-time con orari ridotti, o addirittura rinunciano del tutto all’impiego. Il gender gap si manifesta anche tra le mura domestiche: si tratta dell’home gender gap, ossia l’onere della cura familiare e dei figli sbilanciato con conseguente impatto sulle donne. La genitorialità dovrebbe essere condivisa e maggiormente paritaria, eppure a livello culturale in Italia l’utilizzo dei Congedi parentali è prevalentemente femminile (80% verso un 20% uomini) e il Congedo di Paternità, periodo di 10 giorni di astensione obbligatoria remunerato al 100% – una conquista che ha richiesto 10 anni per passare da 1 giorno a 10 giorni – è in crescita, ma non ancora richiesto dalla totalità dei padri (nel 2021 solo 156 mila padri ne hanno usufruito su un totale di 400 mila nascite). Esiste un distacco rispetto agli altri Paesi, non più solo verso quelli del Nord Europa come Svezia e Norvegia, storicamente avanzati per equilibrio tra ruoli, ma anche con la Spagna dove si hanno 16 settimane, pienamente retribuite e non trasferibili. Se il congedo è prevalentemente appannaggio delle donne, forse è anche perché si tratta di un periodo non pienamente retribuito e le donne sono ancora penalizzate dal #genderpaygap che le relega a retribuzioni più basse degli uomini. L’allontanamento dal lavoro non aiuta affatto l’incremento della natalità: le donne che rinunciano al lavoro si ritrovano in una situazione familiare con meno risorse economiche e questo non innesca nessun meccanismo virtuoso. La conciliazione tra la vita privata e il lavoro è per le donne un vero slalom, una prova di equilibrio. Eppure, dovrebbe esserci piena consapevolezza che il futuro della società passa attraverso un sostegno all’ampliamento delle donne nel mondo del lavoro, perché è evidenziato che nei contesti in cui le donne lavorano, cresce anche la natalità. È altrettanto evidente che la maternità consente alle donne di sviluppare capacità di organizzazione, di ottimizzazione del tempo, di focalizzazione, empatia, ascolto. Si tratta di una vera e propria esperienza sul campo, che nel mondo lavorativo definiremmo come processo di learning by doing delle #softskills, delle #competenzetrasversali, che una volta fatte proprie si mettono in campo al rientro in servizio, con un eneficio anche sui risultati di business. Sarebbe auspicabile fugare quei dubbi, che oggi portano a rimandare la maternità o sono un freno verso molteplici maternità, garantire tranquillità, accompagnando il rientro al lavoro consapevoli dell’energia che le neomamme metteranno a disposizione. E dovrebbe essere un circolo virtuoso, che consenta di affrontare successive maternità con altrettanta serenità. La conciliazione vita familiare-lavorativa è oggi possibile in svariati contesti, perché esistono strumenti flessibili che agevolano il rientro al lavoro dopo una maternità, come la possibilità di lavorare da remoto con orari variabili e in questo la recente pandemia ha evidenziato come il #lavoroagile impostato con attività per obiettivi sia un’opportunità win-win. Queste soluzioni sono sempre più diffuse e aziende come #TIM le mettono a disposizione per rendere flessibile il rientro in servizio, così come sono stati

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All-Male Panel: come e perchè superarli

In Italia, conferenze ed eventi di alto profilo in ambito aziendale e statale soffrono spesso della mancanza di una rappresentanza paritaria tra uomini e donne. “manel”, quale abbreviazione di “all-male panel”, è la parola coniata come una forma di critica sociale per evidenziare il fenomeno del maschilismo e della disuguaglianza di genere nei contesti pubblici e privati, descrivendo una situazione in cui un panel è costituito esclusivamente da uomini o che vede una presenza delle donne in ruoli ancillari, limitando la diversità di prospettive e opinioni rappresentate. Assicurarsi che più donne possano esprimersi in modo autorevole nei panel è un obiettivo importante per garantire una maggiore equità di genere nel mondo del lavoro e nella società in generale. TIM si sta muovendo per garantire una adeguata rappresentanza di genere “Vogliamo che la presenza di donne nei panel diventi una consuetudine, che diventi “normale” che le donne siano portavoce, tanto quanto gli uomini, di una leadership di pensiero, di innovazione, di performance. Per questo, noi di TIM, abbiamo deciso di stimolare il cambiamento aderendo all’iniziativa dell’associazione M&M (Minima and Moralia) per garantire una adeguata rappresentanza di genere negli eventi e manifestazioni pubbliche” è il commento di Maria Enrica Danese, responsabile Institutional Communications, Sustainability & Sponsorship di TIM. Ad oggi, infatti, il gender gap all’interno dei panel può essere ridotto, superando gli “all-male panels”, grazie ad una partecipazione di professioniste maggiore e una rappresentazione più equa in termini di:  ●   Rappresentanza: Le donne sono la metà della popolazione mondiale e dovrebbero essere presenti in modo equo in ogni settore, compreso quello delle conferenze e dei panel, in modo da garantire che la loro voce e prospettiva siano visibili a tutti. ●    Diversità di pensiero: la partecipazione plurale di entrambi i sessi assicura un confronto più ricco, una maggiore diversità di pensiero e una più ampia gamma di opinioni. ●    Abbattimento di stereotipi di genere: La presenza delle donne dimostra che le donne possono essere autorevoli e competenti relatrici come gli uomini. ●    Ispirazione per le giovani donne: Le donne che vedono altre donne che parlano in pubblico e partecipano ai dibattiti sono motivate a fare lo stesso. Ciò porta a una maggiore partecipazione femminile anche nei settori come, ad esempio, quelli tecnologici in cui le donne sono sottorappresentate. ●    Miglioramento delle decisioni: Il contributo delle donne a qualsiasi confronto garantisce che le decisioni siano prese in modo più completo e accurato considerando tutte le prospettive. Suggerimenti utili per superare il gender gap nei manels Per promuovere quindi una rappresentazione equa all’interno di panel in eventi, convegni o dibatti pubblici, si possono adottare una serie di suggerimenti come linee guida volte a stimolare un cambiamento culturale ma anche a fornire strumenti utili nell’organizzazione di eventi e manifestazione pubbliche: Garantire l’accesso delle donne ai ruoli apicali, adottando misure concrete che possano ridurre le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro come, ad esempio, una cultura organizzativa che valorizzi le donne e che riconosca il loro contributo, la creazione di programmi di sviluppo delle competenze e mentoring, flessibilità lavorativa per conciliare la vita professionale e familiare. Creare una rete di sostegno per affrontare discriminazioni e pregiudizi nel percorso professionale che aiuti le donne a sentirsi più sicure di sé e a sviluppare la fiducia necessaria per partecipare a eventi pubblici come relatrici. Questa rete può includere mentori, colleghi e altri professionisti di supporto. Valorizzare le esperienze e le competenze delle donne che possono contribuire in modo significativo ai dibattiti pubblici. Coloro che organizzano eventi pubblici dovrebbero fare uno sforzo per enfatizzare i contenuti condivisi dalle partecipanti. Offrire supporto per la conciliazione vita-lavoro per garantire una maggiore partecipazione delle donne su cui spesso ricade l’impegno familiare, ad esempio attraverso la creazione di strutture per la cura dei figli durante gli eventi. Promuovere un linguaggio inclusivo per garantire che il genere femminile si senta rappresentato e rispettato, ad esempio, utilizzando termini neutri dal punto di vista del genere e prestando attenzione all’uso di stereotipi di genere. Utilizzare o sviluppare internamente un database di esperte e professioniste donne per individuare potenziali speakers da inserire nella costruzione di panel. Coinvolgere Associazioni di Promozione Sociale sulle tematiche del gender gap o associazioni di professioniste di settore per ricevere suggerimenti sulle modalità di intervento o una rosa di proposte su relatrici in target. Prevedere anche una lista di invitate di back up durante l’organizzazione della lista degli interventi, in sostituzione di eventuali defezioni, per evitare che si verifichino solo presenze maschili nei panel. Le iniziative promosse contro i male panel e le best practice Negli ultimi anni la crescente attenzione verso le questioni di genere ha portato allo sviluppo di numerose iniziative volte a sensibilizzare la società sugli effetti negativi prodotti dall’esclusione delle donne nei dibattiti pubblici e a promuovere la gender equality, veicolando anche delle best practice in contesti lavorativi, universitari e istituzionali. EWMD ITALY ha promosso il Manifesto #equalpanel già nel 2020 su intuizione e iniziativa di Fulvia Astolfi, Presidente del chapter EWMD Roma, per incentivare la parità di genere, a favore di una più ampia visibilità delle donne e di una maggiore inclusione femminile nel mondo degli eventi pubblici. Il Manifesto #equalpanel consiste in 10 linee guida o impegni morali nell’organizzazione dei panel e ha l‘obiettivo di invitare imprese, istituzioni, associazioni, pubbliche amministrazioni ad aderire ad un patto per la parità di genere nei panel di conferenze, seminari ed eventi, e di invitare tutte le cittadine e i cittadini a sostenerlo. La #Rai, insieme al Ministero delle Pari opportunità, ha rilanciato nel 2022 la campagna “No Women No Panel – Senza donne non se ne parla”, campagna ideata nel 2018 dalla Commissaria europea per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù Mariya Gabriel, per dare voce alle donne quanto agli uomini e rinnovare l’impegno per le pari opportunità, valorizzando ugualmente i talenti femminili e maschili. L’obiettivo è promuovere un cambiamento di mentalità e della società intera spingendo il Paese nella direzione dell’equa rappresentazione di uomini e donne, non solo in trasmissioni radiotelevisive, ma anche nei contesti accademici, istituzionali, politici e pubblici. Il memorandum d’intesa è stato sottoscritto il 18 Gennaio 2022 dalla Presidente della Rai Marinella Soldi

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ChatGPT e DALL·E 2 – Intelligenza Artificiale e #gendergap

“La parità di genere è un tema centrale nella società e nel mondo del lavoro. Le donne rappresentano una forza importante per l’economia e hanno molto da offrire nella leadership aziendale. Tuttavia, ancora oggi persistono barriere che impediscono alle donne di raggiungere posizioni di potere e di realizzare il loro pieno potenziale. È cruciale superare il gender gap per sfruttare appieno il contributo delle donne al mondo manageriale. Questo non solo garantirà una maggiore diversità nei team dirigenziali, ma anche una maggiore flessibilità e una migliore capacità di adattamento alle sfide del mercato. Inoltre, le aziende che riconoscono il valore delle donne nella leadership saranno in grado di attrarre e trattenere le migliori menti femminili, aumentando la loro competitività a lungo termine. E’ importante sostenere le donne nella loro ascesa verso posizioni di potere, fornendo loro opportunità di formazione e sviluppo, nonché un ambiente di lavoro inclusivo e equo. Soltanto così potremo finalmente superare il gender gap e sfruttare il pieno potenziale del contributo manageriale delle donne. Uniamoci per promuovere la parità di genere e valorizzare il contributo delle donne nella leadership aziendale.“  Un testo sul gendergap elaborato in quattro frasi: la prima descrittiva, la seconda con focus sull’importanza di superarlo, la terza con una proposta ed infine la quarta con una call to action. Impostazione e linguaggio appropriati. Possiamo complimentarci con ChatGPT che lo ha prodotto in una manciata di secondi. Gratuito, semplicissimo, immediato, zero sforzo intellettuale se non immaginare il giusto wording di input. Quali sono i trend ed il sentiment di mercato sull’AI? Il lavoro di ricerca degli ultimi decenni è stato tale che oggi l’Intelligenza Arificiale non è più un superpotere futuribile per stupire con effetti speciali in film d’azione o fantascienza ad alto budget, ma è anzi qualcosa di concreto, alla portata di chiunque, con un clic attraverso un’interfaccia semplice come quella dei motori di ricerca, in grado di mascherare tutta la complessità sottostante. Dall’ultima analisi dell’“Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano” si evidenzia che in Italia, in un solo anno, il mercato dell’AI nel 2022 ha raggiunto 500 milioni di euro, con una crescita di ben il 32%. Il 93% degli italiani ha già sentito parlare di “Intelligenza Artificiale”, il 55% afferma che l’AI è molto presente nella quotidianità e circa 4 su 10 (37%) nella vita lavorativa. Non mancano però le perplessità: il 73% nutre dei timori, soprattutto sugli impatti sul mondo del lavoro, anche se solo il 19% della popolazione è fermamente contrario all’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nelle attività professionali. L’attrattiva verso queste nuove tecnologie è tale che ChatGPT ha raggiunto un milione di utenti dopo solo 2 giorni e DALL·E 2 ha generato 2 milioni di immagini al giorno. L’intelligenza artificiale sta influenzando sempre più le opinioni e comportamento delle persone nella vita quotidiana. L’espandersi a macchia d’olio nel mondo di queste tecnologie ha fatto luce anche sull’esigenza da parte delle Istituzioni internazionali sulla necessità di tutelare i cittadini dalle possibili implicazioni negative che possono derivare dallo sviluppo e dall’utilizzo dei sistemi AI come ad esempio l’approvazione dell’AI Act, da parte del Consiglio Europeo, che classifica le soluzioni in base al livello di rischio che possono causare sui diritti e libertà fondamentali dei cittadini. Quali sono i pro e i contro dell’AI conversazionale? La user experience dell’AI conversazionale è pressoché semplice: formulo la domanda, attendo e leggo la risposta. Così facile che davvero tutti potranno diventare con un clic scrittori di qualsiasi argomento o artisti? Questa tecnologia presenta però sia vantaggi che svantaggi. Tra i pro principali troviamo la facile accessibilità ad informazioni e servizi, risparmio di tempo nella ricerca, personalizzazione delle risposte in base alle preferenze e facilità di utilizzo. I contro invece sono collegati alla limitazione della comprensione delle nostre esigenze, ai limiti nella capacità di sostenere conversazioni complesse e fluide e ai possibili Bias presenti nei dati. La differenza tra l’AI e la mente umana sarà nella preparazione e nella competenza di quest’ultima, nel sapere attraverso una formazione continua, che crea quel know-how su cui fare leva per discernere, selezionare e nel guidare qualsiasi nuovo strumento tecnologico, affinché il testo sia analizzato con spirito critico, consapevoli del suo funzionamento. Gli algoritmi di IA non sono tuttavia onniscienti: ricevono delle informazioni in input e su queste si basano per produrre gli output. Se non vengono aggiornati, possono fornire risposte obsolete. Se ricevono dati di ingresso alterati da bias o pregiudizi o fake news, altrettanto potranno essere i risultati. Come viene rappresentato il tema gender gap nei software AI? Correlando il tema gender gap e AI, ad esempio notiamo che la sovrarappresentazione di uomini nello sviluppo di queste tecnologie potrebbe tranquillamente annullare decenni di progressi nella parità di genere. Difatti, l’AI impara principalmente dall’osservazione dei dati che gli vengono presentati e se quel dato è carico di concetti stereotipati di genere, la conseguente applicazione nella tecnologia conterrà queste differenze creando dei bias. È importante che nella realizzazione dell’algoritmo e dell’apprendimento automatico vengano presi in considerazione i bias già presenti nella società, quali ad esempio le tematiche relative al gendergap e vengano adottate misure per mitigarli, al fine di garantire che l’AI sia equa e imparziale nella sua applicazione, utilizzando un dataset equilibrato e rappresentativo di entrambi i generi e coinvolgendo persone di diversi generi e background nello sviluppo e nella valutazione del modello AI, al fine di garantire che vengano considerate le prospettive diverse. Come ha sottolineato Mira Murati, CTO di OpenAI, in una recente intervista sul Times, “Questo è un momento unico nel tempo in cui abbiamo il libero arbitrio su come la tecnologia plasma la società. E va in entrambe le direzioni: la tecnologia ci modella e noi la modelliamo”. Sono diversi fattori sociali ed etici che impattano sulla creazione dei software AI, ed oltre alla componente tecnologica, durante lo sviluppo, non si può prescindere dal coinvolgimento di diverse voci professionali in ambito filosofico, artistico, umanistico, sociologico. Risulta quindi evidente la necessità da parte delle Big Tech che vogliano integrare la tecnologia AI

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