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Di maternità, child penalty e altre riflessioni

Di cosa parliamo quando parliamo di maternità. Di fatto “Il periodo della vita della donna madre dall’inizio della gestazione fino all’allevamento del neonato” (cit. Treccani). Con questo termine si indica anche il periodo di tempo in cui la madre lavoratrice dipendente si astiene dal lavoro obbligatoriamente per 5 mesi – una tempistica che non segue la precedente definizione e che cambia da paese a paese- da fino a due mesi precedenti la data presunta del parto e fino a 5 mesi dopo la stessa. La variabilità dell’inizio e fine maternità obbligatoria dipende – tra le altre cose- dalla volontà della madre lavoratrice dipendente, dal suo stato di salute, dalla peculiarità dell’attività e dagli strumenti che il datore di lavoro può mettere in campo per agevolarla, come lo smart working, in alcuni casi. Per il periodo di 5 mesi di maternità obbligatoria retribuita al 100% ad oggi si può scegliere la formula 2+3, 1+4 oppure 0+5. Da qui in poi scatta il congedo non obbligatorio, di cui un mese retribuito all’80% – secondo la Legge di Bilancio 2023- e il resto al 30%. [Questo articolo non si pone l’obiettivo di essere una guida esaustiva al congedo di maternità, per questo scopo si rimanda il lettore al sito Inps.] Cosa succede prima della battuta d’arresto dei cinque mesi obbligatori di congedo nell’ambito lavorativo della donna? E cosa avviene durante la sua assenza? E poi ancora, al suo rientro, cosa troverà? Come potrà coniugare vita professionale (magari con anche l’aspirazione di crescere) ai primi mesi di vita del bebè? Queste risposte, tutt’altro che prevedibili, avranno un impatto decisivo sulla sua carriera e la sua vita personale. Squilibrio di genere nel mondo del lavoro, Gender Pay Gap e Child Penalty Sfogliando il Rapporto Inapp sono davvero preoccupanti i dati che testimoniano lo squilibrio di genere nel mondo del lavoro: quasi una donna su cinque lascia il lavoro con l’arrivo del primo figlio e la motivazione più comune è proprio la difficoltà a conciliare vita privata/lavoro. Prima della mia gravidanza non conoscevo molte altre neomamme millennial, anzi direi che le mie conoscenti coetanee e mamme si contavano appena. Non è infatti un segreto che di figli non se ne fanno quasi più. In ogni caso, rispetto al mio contesto, prima della mia gravidanza avevo a che fare quasi solo con donne in attività lavorativa. Adesso invece che frequento contesti dove mi è più facile conoscere altre mamme -un network di sorellanza pazzesco- scopro che molte di loro decidono di lasciare il lavoro dopo il primo figlio o di accontentarsi di un impiego modesto mentre il partner cresce professionalmente o almeno si ritiene soddisfatto della sua sfera professionale. Alcune mi dicono che per riprendere a lavorare devono assumere una baby-sitter ma che costa troppo, o che gli asili sono di difficile accesso. Che non ce la si fa coi costi e che tanto vale rinunciare a uno dei due stipendi in casa, poiché uno dei due si riduce a pagare le sole spese, finendo comunque per perdersi dei momenti con i figli che non torneranno. E così alcune di noi rinunciano alla propria carriera, quindi allo stipendio. Quindi alla propria indipendenza. Questa si chiama #ChildPenalty. Mamma o lavoratrice? Da dilemma a binomio necessario Gioia a parte, la gravidanza è un’esperienza forte, il parto non ne discutiamo proprio e il resto poi è tutto in salita. Incluso le scelte di vita che ne conseguono. E dire che per chi la desidera, la maternità è uno dei momenti più pieni e felici della vita. Peccato debba coesistere questo contrasto in cui, a volte, sia necessario scegliere se fare la mamma o la lavoratrice. O, in alcuni casi, a rinunciare a scalare la vetta di quel famoso soffitto di cristallo. La maternità viene dunque vissuta come una fragilità in un contesto sociale in crisi. Diviene fondamentale che tutte le aziende – attori sociali del cambiamento e comunità inclusive – si attivino per contrastare il Gender Gap che si rivela nella maternità. Un passo significativo potrebbe essere la firma del Codice di autodisciplina, che viene proposto liberamente a tutte le imprese per sostenere la maternità, con lo scopo di arrestare la decrescita e incentivare la natalità, favorire la continuità di carriera delle madri, sostenere economicamente le iniziative di cura e educazione dei figli. Anche confrontarsi con le linee guida della Certificazione per la Parità di genere UNI/Pdr 125:2022, è un’occasione per scoprire se la propria azienda sia compliant con i requisiti richiesti per ottenerla e dunque attivarsi in tal senso. Ma non basta. Per quanto si possa generalizzare omologando procedure e regole nel tentativo di regolamentare i bisogni di gestanti e neomamme, e bilanciare la genitorialità, ogni esperienza è a sé ed effettivamente questo è l’unico assunto certo per tutte. Il primo mese e mezzo basta a mala pena a riprendersi dal parto, capire se e come avviare l’allattamento e gestire il bebè. Dai due mesi inizi a mettere piede fuori casa, a rimescolarti col mondo esterno e con gli altri. Siamo arrivati a tre mesi. Epoca dei primi vaccini. Ricominci a sentire il tuo corpo più sgonfio, a sentirti più serena. Il rapporto con il bebè si intensifica, la sua energia aumenta e il nuovo assetto familiare va pian piano saldandosi. Arrivano lo svezzamento, la dentizione eccetera. Come si può pensare che tre o cinque mesi possano bastare per affrontare questa montagna di cambiamenti, rimettersi in sesto, sistemare i nuovi equilibri e tornare al lavoro a pieno regime, millantando una carica energetica che neanche venti giorni di ferie restituiscono? Ci dicono che l’epoca delle eroine è finita. Eppure, le sento già alcune donne dire “e io come ho fatto ai miei tempi?!”. Beh credo che il modello del sacrificio non sia la soluzione. Certo, forse era ed è tutt’ora l’unico modo per avanzare professionalmente. Una donna dovrebbe avere il diritto di fermarsi per il tempo che lei ritiene necessario al fine di avviare il bebè nel mondo nei suoi primi anni di vita, come avviene in altri stati

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I nostri consigli di lettura per l’estate

Cosa ci fanno insieme un primatologo, una storica, un giornalista, un’imprenditrice e due scrittrici doc di generazioni completamente diverse? Sono gli autori di una selezione di libri che vogliamo suggerirvi per le vostre vacanze. Eccoli in rigoroso ordine alfabetico perché a noi sono piaciuti tutti: Eva Cantarella: “Gli inganni di Pandora. L’origine delle discriminazioni di genere nell’antica Grecia”, ed. Feltrinelli. L’autrice racconta di una vicenda lunghissima, che dal mito giunge ai medici e ai filosofi che hanno fondato il pensiero occidentale. Siamo abituati a pensare ai greci come alla culla della nostra civiltà: a loro dobbiamo l’idea di democrazia, la storiografia, la filosofia, la scienza e il teatro. Di questa magnifica eredità però fa parte anche un bel fardello: il modo in cui consideriamo il rapporto tra i generi, quello che oggi definiremo bias di genere. Frans De Waal: “Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo”, ed. Raffaello Cortina. Dall’osservazione del comportamento di esseri umani e degli altri animali, il primatologo di fama mondiale mette in dubbio le convinzioni ampiamente diffuse su mascolinità e femminilità e le opinioni comuni su autorità, leadership, legami filiali e comportamenti sessuali. Con umorismo, chiarezza e sensibilità, il libro amplia la discussione sulle dinamiche di genere nelle società umane, promuovendo un modello inclusivo capace di abbracciare le differenze, invece di negarle. Pietro Greco: “Trotula. La prima donna medico d’Europa”, ed. L’asino d’oro. Trotula de Ruggiero è la prima donna medico d’Europa. La prima ad aver coltivato nell’XI secolo una ‘medicina per le donne’: la ginecologia. Ha curato le malattie, ma si è anche occupata di bellezza e benessere delle donne. A lungo osannata e poi disconosciuta, la sua esistenza persino negata. Qualcuno ha detto che mai e poi mai una donna avrebbe potuto fare nel Medioevo le cose che ha fatto lei. Una lettura che fa ricredere sul ruolo della donna nel periodo considerato tra i più bui della nostra storia. Michela Murgia: “God save the Queer. Catechismo femminista”, ed. Einaudi. Come fai a tenere insieme la tua fede cattolica e il tuo femminismo? È una domanda che Michela Murgia si sente rivolgere di continuo. Può esserci un compromesso tra la propria coscienza e i precetti in merito all’aborto, all’eutanasia, alla fecondazione assistita? Partendo dalla rilettura del Credo e attingendo alla propria esperienza personale Michela Murgia fornisce gli strumenti per affrontare alcune di queste contraddizioni e mostra come la pratica della soglia che rigetta l’appartenenza a un unico recinto, cioè la queerness, sia una pratica cristologica. Goliarda Sapienza: “L’arte della gioia”, ed. Einaudi. Si tratta di un libro postumo rifiutato dai principali editori italiani e che, stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998,  riceve il giusto riconoscimento solo dopo la sua uscita all’estero. Modesta, una donna vitale, scomoda e immorale, secondo la morale comune, è la protagonista del libro. Una siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto, che attraversa bufere storiche e tempeste sentimentali protetta da un infallibile talismano interiore: «l’arte della gioia». Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale. Riccarda Zezza: “Cuore (core) business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro”, ed. Il Sole 24Ore. Possiamo riumanizzare il lavoro e trovare motivi per rimetterci il cuore, riscoprendo la passione, amplificando il nostro benessere spirituale e fisico? Riccarda Zezza, prova a rispondere in questo libro, un manifesto per ridefinire i posti di lavoro e le carriere e allinearli alle aspettative moderne. È un libro tempestivo, che tocca tematiche urgenti in un mondo del lavoro sempre più permeato dalla tecnologia e dall’influenza diffusa dell’intelligenza artificiale. Se ne leggerete almeno uno fateci sapere cosa ne pensate, qui o sui nostri canali social. Vi aspettiamo a settembre, carich* e motivat* per proseguire insieme nel nostro cammino verso il superamento del gender gap. Il team Comunicazione NoiD Telecom

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GENDER GAP: FOCUS SU AZIONI, STRUMENTI E PROSPETTIVE 

PARITÀ DI GENERE, A CHE PUNTO SIAMO Per “Gender Gap” (divario di genere) si intende la disparità tra uomini e donne, in favore dei primi, in termini di accesso alle opportunità e ai diritti, che può manifestarsi in diverse forme, come la differenza di retribuzione, l’accesso limitato all’istruzione e all’occupazione e la scarsa rappresentanza delle donne in posizioni di leadership.  Secondo il Global Gender Gap Report 2022 curato dal World Economic Forum, l’Italia si posiziona al 63° posto a livello mondiale su un totale di 146 Paesi, in base a un punteggio che rappresenta la percentuale del divario di genere che è stata colmata, pari al 72%.   Il Gender Pay Gap, o divario retributivo di genere, è invece la differenza nella retribuzione oraria lorda media tra donne e uomini, una differenza che è quasi sempre a sfavore delle prime. Anche il Gender Pay Gap è un tema complesso ed è determinato da diversi fattori, a partire da cultura e mentalità: per esempio, le aspettative di genere hanno portato a considerare come “femminili” lavori che tendono ad offrire una retribuzione inferiore rispetto ad altri ritenuti più tipicamente “maschili”. Discriminazioni di genere ricorrono anche nei processi di assunzione e nell’iter di carriera, con scarsa presenza femminile nei ruoli dirigenziali e compensi minori per ricoprire gli stessi ruoli dei colleghi di sesso maschile.  In Italia, secondo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, il salario medio mensile di una laureata magistrale a 5 anni dalla laurea è inferiore di 293 euro rispetto a quello di un laureato di sesso maschile, con una differenza pari al 21% del salario femminile. Sono, inoltre, principalmente le donne ad avere in carico le esigenze di assistenza familiare, che spesso si sforzano di conciliare accettando lavori part-time: sommando il lavoro di cura familiare al lavoro retribuito ne risulta un maggior numero di ore lavorate, rispetto agli uomini, pur guadagnando meno. Le responsabilità familiari, dalla maternità alla cura dei genitori anziani, comportano anche discontinuità nella carriera per le donne, che rischiano di perdere opportunità di crescita nei periodi di lontananza dal lavoro.   Il raggiungimento di una parità di genere, quindi, non può prescindere dal riconoscimento e dalla valorizzazione del lavoro di cura e del lavoro domestico non retribuiti.  In Europa, secondo le rilevazioni Eurostat, il Gender Pay Gap medio si aggira intorno al 13% – ovvero le donne guadagnano in media il 13% in meno all’ora rispetto agli uomini – ma ci sono notevoli differenze tra i Paesi dell’UE. In Italia, il Gender Pay Gap nel 2021 era pari a circa il 5%, un dato in apparenza positivo. Ma, paradossalmente, rispetto al tasso medio di occupazione OCSE per la forza lavoro femminile, che si avvicina al 70%, l’Italia è sotto di quasi 20 punti: una donna su due non lavora e non è in cerca di lavoro.   La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione: il numero di donne che hanno smesso di lavorare a causa del Covid-19 è stato più del doppio degli uomini.  QUALI SONO LE AZIONI E LE SOLUZIONI PER SUPERARE IL DIVARIO DI GENERE? Agire sul cambiamento culturale è un primo passo fondamentale per superare il divario di genere. Ciò significa sensibilizzare la società sul fatto che le donne possono fare gli stessi lavori degli uomini, che possono avere la stessa formazione e le stesse opportunità di carriera. Occorre quindi modificare un approccio culturale consolidato in cui si stratificano pregiudizi e stereotipi di genere.  Un tema prioritario sul quale è necessario intervenire riguarda l’incoraggiamento della formazione di abilità anche in ambito tecnico e scientifico (ovvero le materie STEM: Science, Technology, Engineering and Math).   Questo può aiutare a rompere gli stereotipi di genere e a garantire che le donne abbiano le stesse opportunità di lavoro degli uomini. Inoltre, è necessario favorire un ambiente di lavoro aperto e inclusivo.  Un altro aspetto basilare riguarda lo sviluppo di una strategia di inclusione, attraverso regolamenti incontrovertibili per le aziende e le pubbliche amministrazioni, il cui rispetto rappresenti un vantaggio per l’intera organizzazione. Per esempio, attraverso la promozione di programmi di pari opportunità, di politiche di inclusione e di azioni positive per la parità di genere.  È indispensabile, inoltre, aumentare l’uso di forme flessibili di lavoro che favoriscano il ruolo delle madri. Ciò può includere l’accesso a permessi di maternità e paternità retribuiti, l’orario di lavoro adattabile, il lavoro da casa e altre forme di flessibilità che consentano alle donne di bilanciare le responsabilità lavorative e famigliari.  Infine, è necessario potenziare  altri benefici, oltre al salario, che possano riconoscere l’importante ruolo delle donne nella società, quali: la fornitura di servizi di assistenza all’infanzia, la formazione e lo sviluppo professionale; ma anche l’accesso a programmi di assistenza sanitaria dedicati, considerando che anche in questo ambito sono presenti significative differenze legate al genere.  UNO SGUARDO AGLI STRUMENTI DISPONIBILI Quali sono i principali strumenti che possono aiutare a superare il divario di genere e garantire una maggiore parità di opportunità per le donne?  Un passaggio chiave per la promozione della parità di genere all’interno delle organizzazioni, e un fattore decisivo in termini di empowerment femminile in Italia, è rappresentato dalla legge Golfo-Mosca (legge 120/2011), che ha introdotto dal 2012 le “quote rosa” nei CDA delle grandi imprese. La soglia, fissata inizialmente al 20%, è stata poi innalzata fino al 40% per le società quotate in borsa private e al 33% per quelle pubbliche.   Un altro traguardo fondamentale è la direttiva “Women on board” che intende migliorare l’equilibrio di genere nelle posizioni decisionali delle principali società quotate dell’UE. Dopo 10 anni di negoziati, la direttiva è stata adottata dal Parlamento Europeo a novembre 2022 e prevede che, entro il 2026, il 40% dei posti in consiglio di amministrazione – senza incarichi esecutivi – e il 33% di tutti i posti di amministratore dovranno essere occupati dal sesso sottorappresentato (ad esclusione delle società con meno di 250 dipendenti). Nei prossimi due anni la normativa dovrà essere recepita dai Paesi membri.   Un nuovo, importante strumento è la Certificazione della Parità di Genere. Istituita con Legge n. 162/2021,

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La conciliazione del ruolo genitoriale e lavorativo per superare la denatalità in Italia

Viviamo una dicotomia sul tempo, in alcuni casi freneticamente accelerato dall’abitudine all’istantaneità del digitale grazie al quale otteniamo tutto subito con un clic, mentre in altri contesti le lancette dell’orologio si dilatano: i giovani faticano a trovare lavoro, a sistemarsi in una propria abitazione – in Italia si lascia la casa dei genitori a 30 anni contro i 25 di Francia e Germania, i 20 del Nord Europa – e a cascata anche i figli arrivano più tardi e di conseguenza se ne fanno anche meno. Cosa evidenziano i dati e il trend storico I dati #ISTAT presentati da @Sabrina Patri, Direttore Centrale ISTAT, fotografano un’Italia con un importante #calodemografico: un numero medio di figli per donna di 1,25 nel 2021, con un innalzamento dell’età media a 32,4 anni delle donne al primo figlio, che si ripercuote in una diminuzione di secondi e successivi.   Siamo terzultimi nella classifica del numero medio di figli, peggio di noi la Spagna con 1,19 e Malta con 1,13, mentre altri Paesi hanno valori superiori alla media europea di 1,53, come Francia a 1,74, Repubblica Ceca 1,83, Romania 1,81 e Irlanda 1,78, ma tutti sono al di sotto del valore 2,1, che rappresenta il tasso di sostituzione naturale, il punto di equilibrio per mantenere stabile la popolazione. L’Italia è il Paese delle #cullevuote con una diminuzione delle nascite che dalle 577 mila del 2008 sono passate a 393 mila nel 2022 (-184 mila nati rispetto al 2008). Il 45% delle donne tra i 18-49 anni non ha figli e di queste solo il 2% si dichiara Childfree. Dal 2007 la mortalità in Italia supera la natalità. Quanti conoscono questi dati o hanno riflettuto sulle conseguenze di questo trend? La campagna Plasmon “Adamo 2050” @Plasmon ha recentemente costruito una campagna «Adamo 2050» a forte impatto, un cortometraggio (visibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=UZntmC9lios) con cui ci ha proiettato nel 2050, all’arrivo dell’ultimo bambino nato, Adamo (centrata la scelta dello stesso nome del primo uomo), destinato a vivere circondato da adulti, a non poter giocare con suoi coetanei, a non avere una scuola. Riflessioni sulla conciliazione genitorialità-lavoro È questo ciò che vogliamo a livello di società? Non puntare sui giovani, sul loro futuro, sul futuro del nostro Paese e di tutte le nostre tradizioni? Proviamo a riflettere su quali possano essere le cause di un’Italia che invecchia, cosa porti quasi la metà delle donne a non avere figli o averne solo uno e cosa potrebbe favorire un’inversione di tendenza, agevolando i nuclei familiari ad avere più figli. Possibile che ci sia un freno legato alla difficoltà di conciliare l’impegno genitoriale con quello lavorativo? I dati ISTAT evidenziano che per le donne tra i 25 e i 49 anni, l’occupazione non è cresciuta e, per le donne con figli piccoli, è addirittura diminuita. Le donne faticano ad entrare nel mondo del lavoro e quando hanno un impiego spesso rinviano la maternità, sperando di arrivare ad una situazione lavorativa più stabile, consapevoli che la maternità comporta una discontinuità sul percorso di vita. Dopo il congedo parentale nel momento del rientro al lavoro, molte donne scelgono contratti part-time con orari ridotti, o addirittura rinunciano del tutto all’impiego. Il gender gap si manifesta anche tra le mura domestiche: si tratta dell’home gender gap, ossia l’onere della cura familiare e dei figli sbilanciato con conseguente impatto sulle donne. La genitorialità dovrebbe essere condivisa e maggiormente paritaria, eppure a livello culturale in Italia l’utilizzo dei Congedi parentali è prevalentemente femminile (80% verso un 20% uomini) e il Congedo di Paternità, periodo di 10 giorni di astensione obbligatoria remunerato al 100% – una conquista che ha richiesto 10 anni per passare da 1 giorno a 10 giorni – è in crescita, ma non ancora richiesto dalla totalità dei padri (nel 2021 solo 156 mila padri ne hanno usufruito su un totale di 400 mila nascite). Esiste un distacco rispetto agli altri Paesi, non più solo verso quelli del Nord Europa come Svezia e Norvegia, storicamente avanzati per equilibrio tra ruoli, ma anche con la Spagna dove si hanno 16 settimane, pienamente retribuite e non trasferibili. Se il congedo è prevalentemente appannaggio delle donne, forse è anche perché si tratta di un periodo non pienamente retribuito e le donne sono ancora penalizzate dal #genderpaygap che le relega a retribuzioni più basse degli uomini. L’allontanamento dal lavoro non aiuta affatto l’incremento della natalità: le donne che rinunciano al lavoro si ritrovano in una situazione familiare con meno risorse economiche e questo non innesca nessun meccanismo virtuoso. La conciliazione tra la vita privata e il lavoro è per le donne un vero slalom, una prova di equilibrio. Eppure, dovrebbe esserci piena consapevolezza che il futuro della società passa attraverso un sostegno all’ampliamento delle donne nel mondo del lavoro, perché è evidenziato che nei contesti in cui le donne lavorano, cresce anche la natalità. È altrettanto evidente che la maternità consente alle donne di sviluppare capacità di organizzazione, di ottimizzazione del tempo, di focalizzazione, empatia, ascolto. Si tratta di una vera e propria esperienza sul campo, che nel mondo lavorativo definiremmo come processo di learning by doing delle #softskills, delle #competenzetrasversali, che una volta fatte proprie si mettono in campo al rientro in servizio, con un eneficio anche sui risultati di business. Sarebbe auspicabile fugare quei dubbi, che oggi portano a rimandare la maternità o sono un freno verso molteplici maternità, garantire tranquillità, accompagnando il rientro al lavoro consapevoli dell’energia che le neomamme metteranno a disposizione. E dovrebbe essere un circolo virtuoso, che consenta di affrontare successive maternità con altrettanta serenità. La conciliazione vita familiare-lavorativa è oggi possibile in svariati contesti, perché esistono strumenti flessibili che agevolano il rientro al lavoro dopo una maternità, come la possibilità di lavorare da remoto con orari variabili e in questo la recente pandemia ha evidenziato come il #lavoroagile impostato con attività per obiettivi sia un’opportunità win-win. Queste soluzioni sono sempre più diffuse e aziende come #TIM le mettono a disposizione per rendere flessibile il rientro in servizio, così come sono stati

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All-Male Panel: come e perchè superarli

In Italia, conferenze ed eventi di alto profilo in ambito aziendale e statale soffrono spesso della mancanza di una rappresentanza paritaria tra uomini e donne. “manel”, quale abbreviazione di “all-male panel”, è la parola coniata come una forma di critica sociale per evidenziare il fenomeno del maschilismo e della disuguaglianza di genere nei contesti pubblici e privati, descrivendo una situazione in cui un panel è costituito esclusivamente da uomini o che vede una presenza delle donne in ruoli ancillari, limitando la diversità di prospettive e opinioni rappresentate. Assicurarsi che più donne possano esprimersi in modo autorevole nei panel è un obiettivo importante per garantire una maggiore equità di genere nel mondo del lavoro e nella società in generale. TIM si sta muovendo per garantire una adeguata rappresentanza di genere “Vogliamo che la presenza di donne nei panel diventi una consuetudine, che diventi “normale” che le donne siano portavoce, tanto quanto gli uomini, di una leadership di pensiero, di innovazione, di performance. Per questo, noi di TIM, abbiamo deciso di stimolare il cambiamento aderendo all’iniziativa dell’associazione M&M (Minima and Moralia) per garantire una adeguata rappresentanza di genere negli eventi e manifestazioni pubbliche” è il commento di Maria Enrica Danese, responsabile Institutional Communications, Sustainability & Sponsorship di TIM. Ad oggi, infatti, il gender gap all’interno dei panel può essere ridotto, superando gli “all-male panels”, grazie ad una partecipazione di professioniste maggiore e una rappresentazione più equa in termini di:  ●   Rappresentanza: Le donne sono la metà della popolazione mondiale e dovrebbero essere presenti in modo equo in ogni settore, compreso quello delle conferenze e dei panel, in modo da garantire che la loro voce e prospettiva siano visibili a tutti. ●    Diversità di pensiero: la partecipazione plurale di entrambi i sessi assicura un confronto più ricco, una maggiore diversità di pensiero e una più ampia gamma di opinioni. ●    Abbattimento di stereotipi di genere: La presenza delle donne dimostra che le donne possono essere autorevoli e competenti relatrici come gli uomini. ●    Ispirazione per le giovani donne: Le donne che vedono altre donne che parlano in pubblico e partecipano ai dibattiti sono motivate a fare lo stesso. Ciò porta a una maggiore partecipazione femminile anche nei settori come, ad esempio, quelli tecnologici in cui le donne sono sottorappresentate. ●    Miglioramento delle decisioni: Il contributo delle donne a qualsiasi confronto garantisce che le decisioni siano prese in modo più completo e accurato considerando tutte le prospettive. Suggerimenti utili per superare il gender gap nei manels Per promuovere quindi una rappresentazione equa all’interno di panel in eventi, convegni o dibatti pubblici, si possono adottare una serie di suggerimenti come linee guida volte a stimolare un cambiamento culturale ma anche a fornire strumenti utili nell’organizzazione di eventi e manifestazione pubbliche: Garantire l’accesso delle donne ai ruoli apicali, adottando misure concrete che possano ridurre le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro come, ad esempio, una cultura organizzativa che valorizzi le donne e che riconosca il loro contributo, la creazione di programmi di sviluppo delle competenze e mentoring, flessibilità lavorativa per conciliare la vita professionale e familiare. Creare una rete di sostegno per affrontare discriminazioni e pregiudizi nel percorso professionale che aiuti le donne a sentirsi più sicure di sé e a sviluppare la fiducia necessaria per partecipare a eventi pubblici come relatrici. Questa rete può includere mentori, colleghi e altri professionisti di supporto. Valorizzare le esperienze e le competenze delle donne che possono contribuire in modo significativo ai dibattiti pubblici. Coloro che organizzano eventi pubblici dovrebbero fare uno sforzo per enfatizzare i contenuti condivisi dalle partecipanti. Offrire supporto per la conciliazione vita-lavoro per garantire una maggiore partecipazione delle donne su cui spesso ricade l’impegno familiare, ad esempio attraverso la creazione di strutture per la cura dei figli durante gli eventi. Promuovere un linguaggio inclusivo per garantire che il genere femminile si senta rappresentato e rispettato, ad esempio, utilizzando termini neutri dal punto di vista del genere e prestando attenzione all’uso di stereotipi di genere. Utilizzare o sviluppare internamente un database di esperte e professioniste donne per individuare potenziali speakers da inserire nella costruzione di panel. Coinvolgere Associazioni di Promozione Sociale sulle tematiche del gender gap o associazioni di professioniste di settore per ricevere suggerimenti sulle modalità di intervento o una rosa di proposte su relatrici in target. Prevedere anche una lista di invitate di back up durante l’organizzazione della lista degli interventi, in sostituzione di eventuali defezioni, per evitare che si verifichino solo presenze maschili nei panel. Le iniziative promosse contro i male panel e le best practice Negli ultimi anni la crescente attenzione verso le questioni di genere ha portato allo sviluppo di numerose iniziative volte a sensibilizzare la società sugli effetti negativi prodotti dall’esclusione delle donne nei dibattiti pubblici e a promuovere la gender equality, veicolando anche delle best practice in contesti lavorativi, universitari e istituzionali. EWMD ITALY ha promosso il Manifesto #equalpanel già nel 2020 su intuizione e iniziativa di Fulvia Astolfi, Presidente del chapter EWMD Roma, per incentivare la parità di genere, a favore di una più ampia visibilità delle donne e di una maggiore inclusione femminile nel mondo degli eventi pubblici. Il Manifesto #equalpanel consiste in 10 linee guida o impegni morali nell’organizzazione dei panel e ha l‘obiettivo di invitare imprese, istituzioni, associazioni, pubbliche amministrazioni ad aderire ad un patto per la parità di genere nei panel di conferenze, seminari ed eventi, e di invitare tutte le cittadine e i cittadini a sostenerlo. La #Rai, insieme al Ministero delle Pari opportunità, ha rilanciato nel 2022 la campagna “No Women No Panel – Senza donne non se ne parla”, campagna ideata nel 2018 dalla Commissaria europea per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù Mariya Gabriel, per dare voce alle donne quanto agli uomini e rinnovare l’impegno per le pari opportunità, valorizzando ugualmente i talenti femminili e maschili. L’obiettivo è promuovere un cambiamento di mentalità e della società intera spingendo il Paese nella direzione dell’equa rappresentazione di uomini e donne, non solo in trasmissioni radiotelevisive, ma anche nei contesti accademici, istituzionali, politici e pubblici. Il memorandum d’intesa è stato sottoscritto il 18 Gennaio 2022 dalla Presidente della Rai Marinella Soldi

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ChatGPT e DALL·E 2 – Intelligenza Artificiale e #gendergap

“La parità di genere è un tema centrale nella società e nel mondo del lavoro. Le donne rappresentano una forza importante per l’economia e hanno molto da offrire nella leadership aziendale. Tuttavia, ancora oggi persistono barriere che impediscono alle donne di raggiungere posizioni di potere e di realizzare il loro pieno potenziale. È cruciale superare il gender gap per sfruttare appieno il contributo delle donne al mondo manageriale. Questo non solo garantirà una maggiore diversità nei team dirigenziali, ma anche una maggiore flessibilità e una migliore capacità di adattamento alle sfide del mercato. Inoltre, le aziende che riconoscono il valore delle donne nella leadership saranno in grado di attrarre e trattenere le migliori menti femminili, aumentando la loro competitività a lungo termine. E’ importante sostenere le donne nella loro ascesa verso posizioni di potere, fornendo loro opportunità di formazione e sviluppo, nonché un ambiente di lavoro inclusivo e equo. Soltanto così potremo finalmente superare il gender gap e sfruttare il pieno potenziale del contributo manageriale delle donne. Uniamoci per promuovere la parità di genere e valorizzare il contributo delle donne nella leadership aziendale.“  Un testo sul gendergap elaborato in quattro frasi: la prima descrittiva, la seconda con focus sull’importanza di superarlo, la terza con una proposta ed infine la quarta con una call to action. Impostazione e linguaggio appropriati. Possiamo complimentarci con ChatGPT che lo ha prodotto in una manciata di secondi. Gratuito, semplicissimo, immediato, zero sforzo intellettuale se non immaginare il giusto wording di input. Quali sono i trend ed il sentiment di mercato sull’AI? Il lavoro di ricerca degli ultimi decenni è stato tale che oggi l’Intelligenza Arificiale non è più un superpotere futuribile per stupire con effetti speciali in film d’azione o fantascienza ad alto budget, ma è anzi qualcosa di concreto, alla portata di chiunque, con un clic attraverso un’interfaccia semplice come quella dei motori di ricerca, in grado di mascherare tutta la complessità sottostante. Dall’ultima analisi dell’“Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano” si evidenzia che in Italia, in un solo anno, il mercato dell’AI nel 2022 ha raggiunto 500 milioni di euro, con una crescita di ben il 32%. Il 93% degli italiani ha già sentito parlare di “Intelligenza Artificiale”, il 55% afferma che l’AI è molto presente nella quotidianità e circa 4 su 10 (37%) nella vita lavorativa. Non mancano però le perplessità: il 73% nutre dei timori, soprattutto sugli impatti sul mondo del lavoro, anche se solo il 19% della popolazione è fermamente contrario all’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nelle attività professionali. L’attrattiva verso queste nuove tecnologie è tale che ChatGPT ha raggiunto un milione di utenti dopo solo 2 giorni e DALL·E 2 ha generato 2 milioni di immagini al giorno. L’intelligenza artificiale sta influenzando sempre più le opinioni e comportamento delle persone nella vita quotidiana. L’espandersi a macchia d’olio nel mondo di queste tecnologie ha fatto luce anche sull’esigenza da parte delle Istituzioni internazionali sulla necessità di tutelare i cittadini dalle possibili implicazioni negative che possono derivare dallo sviluppo e dall’utilizzo dei sistemi AI come ad esempio l’approvazione dell’AI Act, da parte del Consiglio Europeo, che classifica le soluzioni in base al livello di rischio che possono causare sui diritti e libertà fondamentali dei cittadini. Quali sono i pro e i contro dell’AI conversazionale? La user experience dell’AI conversazionale è pressoché semplice: formulo la domanda, attendo e leggo la risposta. Così facile che davvero tutti potranno diventare con un clic scrittori di qualsiasi argomento o artisti? Questa tecnologia presenta però sia vantaggi che svantaggi. Tra i pro principali troviamo la facile accessibilità ad informazioni e servizi, risparmio di tempo nella ricerca, personalizzazione delle risposte in base alle preferenze e facilità di utilizzo. I contro invece sono collegati alla limitazione della comprensione delle nostre esigenze, ai limiti nella capacità di sostenere conversazioni complesse e fluide e ai possibili Bias presenti nei dati. La differenza tra l’AI e la mente umana sarà nella preparazione e nella competenza di quest’ultima, nel sapere attraverso una formazione continua, che crea quel know-how su cui fare leva per discernere, selezionare e nel guidare qualsiasi nuovo strumento tecnologico, affinché il testo sia analizzato con spirito critico, consapevoli del suo funzionamento. Gli algoritmi di IA non sono tuttavia onniscienti: ricevono delle informazioni in input e su queste si basano per produrre gli output. Se non vengono aggiornati, possono fornire risposte obsolete. Se ricevono dati di ingresso alterati da bias o pregiudizi o fake news, altrettanto potranno essere i risultati. Come viene rappresentato il tema gender gap nei software AI? Correlando il tema gender gap e AI, ad esempio notiamo che la sovrarappresentazione di uomini nello sviluppo di queste tecnologie potrebbe tranquillamente annullare decenni di progressi nella parità di genere. Difatti, l’AI impara principalmente dall’osservazione dei dati che gli vengono presentati e se quel dato è carico di concetti stereotipati di genere, la conseguente applicazione nella tecnologia conterrà queste differenze creando dei bias. È importante che nella realizzazione dell’algoritmo e dell’apprendimento automatico vengano presi in considerazione i bias già presenti nella società, quali ad esempio le tematiche relative al gendergap e vengano adottate misure per mitigarli, al fine di garantire che l’AI sia equa e imparziale nella sua applicazione, utilizzando un dataset equilibrato e rappresentativo di entrambi i generi e coinvolgendo persone di diversi generi e background nello sviluppo e nella valutazione del modello AI, al fine di garantire che vengano considerate le prospettive diverse. Come ha sottolineato Mira Murati, CTO di OpenAI, in una recente intervista sul Times, “Questo è un momento unico nel tempo in cui abbiamo il libero arbitrio su come la tecnologia plasma la società. E va in entrambe le direzioni: la tecnologia ci modella e noi la modelliamo”. Sono diversi fattori sociali ed etici che impattano sulla creazione dei software AI, ed oltre alla componente tecnologica, durante lo sviluppo, non si può prescindere dal coinvolgimento di diverse voci professionali in ambito filosofico, artistico, umanistico, sociologico. Risulta quindi evidente la necessità da parte delle Big Tech che vogliano integrare la tecnologia AI

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Networking Tour – Napoli

Seconda tappa del Networking Tour di NoiD Telecom 2023, siamo a Napoli per coinvolgere le colleghe di questa città, ,”e non solo”, nelle azioni che l’associazione intende portare avanti nell’anno a sostegno dell’equità di genere nelle società del gruppo TIM. Empatia, entusiasmo e impegno sul territorio per realizzare un cambiamento tangibile. NoiD consolida il proprio ruolo di Associazione di riferimento del Gruppo TIM

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Il gender gap, un divario che ci accompagna anche nella pensione

Il gender gap nasce con noi, quando ancora non sappiamo che esista. Se è vero che dell’infanzia e dell’adolescenza le cose sono molto migliorate negli anni più recenti, è anche vero che c’è ancora da fare in termini di consapevolezza e di superamento dei bias di genere. Quando poi noi donne finalmente ci sentiamo adulte ed emancipate e ci affacciamo al mondo del lavoro, come è noto, arrivano le dolenti note. Se poi abbiamo anche il desiderio di diventare madri, allora la faccenda si complica ulteriormente. Ma vediamo a che punto siamo e cosa ci dicono alcune fonti recenti. Il Global Gender Gap Index analizza l’evoluzione dei divari di genere tra quattro dimensioni chiave (partecipazione economica e opportunità, risultati scolastici, salute e sopravvivenza, ed emancipazione politica) e segue i progressi verso la chiusura di questi divari nel tempo. La sedicesima edizione del Global Gender Gap Report 2022, l’ultima disponibile, indica purtroppo che il divario di genere non sta migliorando. Secondo il Report ci vorranno altri 132 anni per colmare il divario di genere globale. Con l’aggravarsi delle crisi, i risultati della forza lavoro femminile ne risentono e il rischio di un regresso della parità di genere globale si intensifica ulteriormente. Questa la classifica dei primi 10 Paesi al mondo rispetto alla chiusura del gender gap: E l’Italia? Siamo ancora al 63° posto sui 146 Paesi monitorati e il confronto con alcuni Paesi europei mette ancora più in evidenza il nostro ritardo: infatti Spagna e Francia risultano rispettivamente 17esima e 15esima, mentre la Germania occupa addirittura la decima posizione a livello mondiale. Questa situazione si lega anche molto alla questione “maternità”. Da noi è ancora la mamma a sostenere il peso maggiore dell’essere genitori, ce lo dicono i numeri di abbandono del lavoro dopo un figlio (nel 2021 solo 14.774 padri hanno lasciato il lavoro contro le 37.662 mamme (fonte INL). E ancora sono l’80% delle mamme che usano il congedo parentale e solo il 20% i papà. Ma il dato forse più allarmante è quello relativo al salario. Se già, come è noto, le donne guadagnano meno degli uomini a parità di ruolo, le donne madri guadagnano ancora meno delle loro colleghe senza figli incorrendo nel cosiddetto motherhood penalty. Insomma, oltre il danno la beffa: mi do da fare, inseguo i miei obiettivi, conciliando con difficoltà gli impegni familiari che questa società mi addossa ancora in larga parte, e cosa ottengo? Uno stipendio ancora più basso! Ma la corsa contro il divario di genere non finisce qui perché tutto ciò si ripercuote inevitabilmente quando andiamo in pensione. Eh sì, dopo anni di lavoro e spesso di sacrifici, ancora una volta le donne sono penalizzate. Proprio in questi giorni sono usciti i dati dell’Osservatorio INPS relativi alle pensioni ed è arrivata la conferma del divario dell’assegno di pensione tra uomini e donne, un divario forse ancora più marcato e definitivo di quello del mondo del lavoro dove a volte si può sperare in un miglioramento lungo il corso della carriera o in correttivi ad personam. I dati dell’Osservatorio ci dicono che gli assegni delle donne sono inferiori mediamente del 30% a quelli degli uomini con picchi del 54% tra i parasubordinati mentre tra i lavoratori dipendenti il divario di genere supera il 47%. Un dato ulteriormente significativo è che la metà degli assegni per chi sceglie di andare in pensione con “Opzione donna” sono sotto i 500 euro. Su questa differenza impattano fattori come il gap retributivo di base, le carriere lavorative spesso discontinue con periodi di interruzione per assistere i familiari, minori progressioni di carriera, ecc. Sul tema del gender gap e sul suo impatto sulle pensioni è recentemente uscito un altro report, il GenderWealthEquityIndex, che guarda al divario di ricchezza tra uomini e donne a livello globale. Ancora oggi si tratta di dati allarmanti sui quali i Governi sono chiamati a riflettere e a trovare al più presto delle soluzioni. Si tratta di una strada lunga e a volte tortuosa, nella quale un ruolo importante è anche in capo alle Aziende, sia in termini di consapevolezza che di azioni concrete. NoiD continua a lavorare per far emergere il talento femminile nelle aziende del Gruppo TIM per assottigliare sempre più il gap retributivo e per dare pari opportunità a tutti e tutte. Le nostre azioni sono importanti così come la nostra voce. Continuate quindi a seguirci e ad amplificare i nostri messaggi sui nostri canali web e social.

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Networking Tour – Milano

Al via il Networking Tour di NoiD Telecom 2023, prima tappa Milano. Socie, sostenitrici e simpatizzanti di Milano, Torino e Roma si sono ritrovate per avviare la collaborazione sulle azione 2023 a sostegno dell’equità di genere. Empatia, entusiasmo e impegno sul territorio per realizzare un cambiamento tangibile. NoiD consolida il proprio ruolo di Associazione di riferimento del Gruppo TIM ampliando la propria rete, coinvolgendo colleghe desiderose di attivarsi e di dare un contributo significativo e determinante per l’azzeramento di qualsiasi gap con ulteriori benefici per TIM.

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Quote rosa: dove stiamo andando

In NoiD Telecom crediamo che le quote rosa siano uno strumento che serve a garantire la parità di genere e promuovere il merito, valorizzando i talenti femminili per contribuire attivamente allo sviluppo economico e sociale del nostro paese. Importante evidenziare che si tratta di una misura adottata non solo in Italia dal 2011 con la legge Golfo – Mosca, ma anche a livello a livello europeo con una analoga direttiva “Women on Boards”(2022), a testimoniarne e rafforzarne l’utilità in tutti i paesi per ridurre il gender gap, valorizzare il talento femminile e favorirne la partecipazione nei ruoli di responsabilità. La presenza delle donne nei CdA è una leva fondamentale per la crescita delle aziende e il mantenimento delle  quote rosa è ancora utile per stimolare il necessario cambiamento di paradigma. Il Rapporto annuale sulla Corporate Governance di Consob Il Rapporto annuale della Corporate Governance delle società italiane evidenzia come la rappresentanza femminile nei board sia passata dal 7% nel 2011 al 44% nel 2021. “L’evoluzione nel tempo della diversity degli organi di amministrazione e controllo riflette anche l’aumento della presenza femminile, legata all’applicazione delle disposizioni in materia di quote di genere. In particolare, nell’ambito degli organi di amministrazione, si rileva complessivamente una lieve riduzione dell’età media, un innalzamento del livello di istruzione e una maggior diversificazione dei profili professionali. L’impatto delle quote di genere sulla diversity dell’organo di controllo è, invece, meno marcato.” Anche Nadia Linciano, alla guida del Dipartimento Studi Economici di Consob che cura questo Rapporto, già nell’intervista che ci aveva concesso un anno fa, aveva evidenziato come il percorso fosse ancora lungo e i dati dell’ultimo studio lo confermano: “In linea con quanto osservato negli ultimi anni, rimane limitato il numero di casi in cui le donne ricoprono il ruolo di amministratore delegato o di presidente dell’organo amministrativo, mentre risulta più diffuso il ruolo di consigliere indipendente. Le donne sono titolari di più di un incarico di amministrazione nel 30% dei casi, un dato in flessione rispetto all’anno precedente e al massimo raggiunto nel 2019 (34,9%).” Conoscenza e consapevolezza di questi strumenti permettono di raggiungere l’obiettivo -collettivo di uomini e donne – che si traduce in un successo sociale ed economico per il nostro Paese.

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